di Elio Clero Bertoldi
PERUGIA - Dietro questo quadro, dal titolo "Leda atomica" (del 1949), si cela una storia d'amore particolarmente complessa, quanto, e forse più, di quella del mito che richiama. 
L'opera fu eseguita da Salvator Dalì (1904-1989) e ritrae sua moglie Gala (Elena Djakonova, 1894-1982), nata a Kazan nella Russia zarista, rappresentata come Leda, regina di Sparta (e madre di Elena e Clitennestra), amata da Giove, in forma di cigno, rapporto dal quale nacquero i Dioscuri (Càstore e Pollùce). 
Salvator e Gala si erano conosciuti nel 1929: il pittore aveva 25 anni, lei 35. All'epoca l'intellettuale russa era sposata col grande poeta surrealista Paul Èluard, che insieme ad altri amici era andato in visita, in Catalogna, a casa del giovane pittore spagnolo. Quando la comitiva parigina ripartì, Gala rimase con l'artista e ne divenne amante, musa, procuratrice, moglie, in un rapporto molto libero ed ebbe un ruolo primario nell'evoluzione artistica di Dalì, divenuto pittore surrealista. 
Gala (latte, in greco: il nomignolo glielo aveva dato Èluard) aveva gestito in maniera disinibita il suo rapporto matrimoniale col poeta (sembra che con la coppia avesse convissuto pure Max Ernest, per un periodo) e il suo modo di vivere non cambiò neppure con Dalì, che, tra l'altro, pare fosse un cultore, sotto il profilo sessuale, del mito del re della Lidia, Candàule.
Nonostante queste particolarità dei loro rispettivi caratteri e delle loro inclinazioni amorose, i due rimasero legati fino alla morte di lei e il pittore, che le sopravvisse altri sette anni, fu profondamente segnato dalla dipartita della sua compagna.

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