Confindustria i vaccini e il mondo del sindacato e del lavoro

di Giacinto Botti e Maurizio Brotini - Componenti del Direttivo Nazionale CGIL
Ci risiamo. La CGIL e il suo Segretario Generale sono sotto attacco da parte del presidente di Confindustria Carlo Bonomi, della destra politica liberista - purtroppo non solo dalla destra - e dei poteri economici, aiutati da organi di stampa compiacenti.
L’unità, la responsabilità, la solidarietà e il senso di appartenenza del gruppo dirigente della Cgil sono più che mai essenziali per rispondere a questo attacco organizzato.
Bonomi ha sferrato il suo attacco indecente dal meeting di Rimini di Comunione e Liberazione, il salotto amico, la passerella per politici e ministri del governo dei “migliori”. L’obiettivo come sempre è il sindacato, la CGIL, e stavolta anche la politica e le sue istituzioni.
Senza nessun pudore Confindustria si chiama fuori da ogni responsabilità rispetto alla pandemia e alle sue gravi conseguenze sociali e sulla vita delle persone, accusando di irresponsabilità il sindacato che si oppone alla proposta del green pass obbligatorio per l’ingresso dei lavoratori in tutte le aziende di ogni settore.
La vaccinazione è un dovere di ogni cittadino responsabile, ma per noi può divenire un obbligo solo attraverso una legge, nel rispetto dell’articolo 32 della Costituzione, e non con un nuovo accordo tra le parti sociali o con l’aggiornamento del protocollo sulla sicurezza. Un protocollo sicurezza, peraltro, già rinnovato su richiesta del sindacato in merito alla possibilità di realizzare la vaccinazione anche nei luoghi di lavoro.
Il governo, i partiti assumano le loro responsabilità senza scaricarla sul sindacato.
Un governo che deve darci molte risposte, a partire dalla copertura del fondo INPS, non più attivo dall’inizio del 2021, al fine di garantire la copertura retributiva e contributiva al lavoratore che si assenta dal lavoro per la eventuale quarantena obbligatoria.
Confindustria vuole coinvolgere il sindacato nella responsabilità delle discriminazioni e dei possibili licenziamenti dei lavoratori sprovvisti di green pass.
Peraltro Bonomi rimuove la mancata applicazione in tante realtà produttive del protocollo sicurezza, mentre misure come il distanziamento e l’uso della mascherina andrebbero mantenute e rafforzate visto l’andamento della pandemia, con le varianti che colpiscono, seppure in forma non grave, anche i vaccinati, rendendoli contagiosi.
Tanta fastidiosa supponenza punta a rimuovere le responsabilità del padronato italiano. Nella prima fase della pandemia infatti, incuranti dell’allarme degli scienziati, intervenendo sulle istituzioni nazionali, regionali e locali, i padroni hanno ottenuto di lasciare aperte quasi tutte le attività produttive, con le conseguenze gravi che conosciamo.
Noi non dimentichiamo i seimila morti della Val Seriana, la strage nelle RSA, i tanti decessi per la mancata prevenzione, per una sanità pubblica in difficoltà, svalorizzata da decenni in favore del privato. Ricordiamo i violenti attacchi alle RSU, ai delegati, alla FIOM CGIL da parte degli esponenti padronali per gli scioperi indetti a fronte dell’assenza di prevenzione anti Covid nei luoghi di lavoro. E non dimentichiamo che le imprese continuano a considerare la sicurezza un costo e non un’opportunità, oltre che un dovere sociale.
Oggi come allora per “lorsignori” la priorità non è la salute del lavoratore, ma la produzione e gli interessi aziendali. Non abbiamo mai sentito una parola di denuncia, un richiamo alla responsabilità d'impresa a fronte di oltre 1000 morti sul lavoro, mai niente sul mancato rispetto delle leggi su salute e sicurezza, sulle malattie professionali invalidanti, sullo sfruttamento, il lavoro precario e in nero, parte integrante del sistema produttivo del paese.
La cultura liberista della Confindustria “bonomiana” è antisociale, si fonda sull’antipolitica, sulla sostituzione dei ruoli e sul disprezzo del Parlamento. Al centro della sua visione di società ci sono gli interessi corporativi dell’impresa e del mercato, e il sindacato e il governo dovrebbero essere al servizio di una Confindustria la cui rappresentatività è al minimo storico.
Per dare un messaggio compiuto al governo, Bonomi ha attaccato anche il ministro del lavoro Andrea Orlando, responsabile di aver presentato una bozza di decreto legge - giudicato “punitivo” verso l’impresa pur essendo di ben poca sostanza ed efficacia - per limitare la delocalizzazione selvaggia delle aziende multinazionali e italiane.
Siamo ancora all’idea padronale delle le mani libere, senza i “lacci e lacciuoli” imposti dai diritti dei lavoratori.
La Costituzione, per questi “imprenditori coraggiosi”, deve fermarsi ai cancelli dei luoghi di lavoro.
È persino immorale che il presidente di Confindustria, a sostegno delle sue invettive, utilizzi i dati sui bambini morti di poliomielite negli anni ‘60: ottomila, e altri duemila rimasti infermi, secondo le sue fonti e una lettura distorta della realtà, che sarebbero vittime delle indecisioni della politica di allora.
E strano che non abbia dato la colpa anche di questo alla CGIL.
In realtà in Italia, nel biennio ‘59-‘60, ci fu il picco di ottomila casi, non di morti, mentre il primo vaccino Salk, adottato nel 1957, fu sostituito in piena guerra fredda con il più efficace Sabin provato su milioni di bambini in Russia. Già nel 1965, per efficacia del vaccino, i casi dichiarati si limitarono a 500.
Il vaccino in quegli anni era solo raccomandato da zero a vent’anni, e solo il 4 febbraio del 1967 fu reso obbligatorio con una legge.
Confindustria usa dunque ogni mezzo, e al centro c’è sempre lo scontro tra capitale e lavoro che si ripresenta, e che si inasprirà sulla gestione e l’indirizzo delle ingenti risorse del recovery fund, sulla riforma fiscale, sugli ammortizzatori sociali, sugli indirizzi industriali, sul ruolo dello Stato in economia, sull’idea di paese e di società.
Di fronte a questa sottocultura padronale, allo scontro generale di prospettiva, al rischio reale che il governo subisca sempre di più il ricatto di Confindustria, pensiamo che per la CGIL stare in difensiva e scendere sul loro terreno sia un errore.
Dobbiamo rafforzare, intensificare la nostra campagna di informazione nei luoghi di lavoro e nella società con tutti i mezzi di comunicazione a disposizione.
Occorre dare una risposta radicale, decisa, forti della nostra storia e autonomia, delle nostre coerenti scelte in difesa della salute dei lavoratori e dei cittadini, senza mediazioni o compromessi che sarebbero a scapito del mondo del lavoro dipendente, dell’uguaglianza nei diritti e nelle possibilità, della dignità delle persone tutte.

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