di Antonio Sciotto

E così il governo Renzi non ha pro­prio pace. Ma soprat­tutto non ha pace l’economia ita­liana, che non c’è verso che si riprenda. Le ultime due “maz­zate” ven­gono dall’Ocse e dall’agenzia di rating sta­tu­ni­tense Standard&Poor’s, che vedono nero. In par­ti­co­lare, l’organizzazione inter­na­zio­nale (che ovvia­mente ha più peso): l’Ocse taglia vio­len­te­mente le pre­vi­sioni per il nostro Paese, por­tando il Pil di quest’anno a un –0,4%, rispetto al +0,5% pro­no­sti­cato in precedenza.

Sarebbe una bella botta: l’Italia che con­ti­nua insomma a restare in reces­sione, non uscendo dalla spi­rale della crisi, come invece si era pre­vi­sto fino a prima dell’estate. A que­sto punto lo 0,8% scritto nel Def ita­liano – ma già scon­fes­sato dal governo, che ulti­ma­mente stima una cre­scita intorno allo zero – appare del tutto lunare. Allo stesso modo è pes­si­mi­sta – sep­pur meno – l’agenzia di rating, che vede un Pil ita­liano fermo a zero, con­tro un +0,5% pre­vi­sto nel suo ultimo report.

E il 2015? Tor­nando alle stime Ocse, non si potranno certo stap­pare le bot­ti­glie di cham­pa­gne: se le pre­ce­denti pre­vi­sioni davano un robu­sto +1,1%, adesso siamo a un timi­dis­simo +0,1%. Ci met­te­remmo alle spalle la reces­sione, ma certo non si potrebbe dire che vedremmo la ormai mitica quanto fan­to­ma­tica “ripresa”. In pra­tica l’Italia sarà l’unico Paese del G7 a rima­nere ancora in reces­sione, lon­ta­nis­sima anche dalle eco­no­mie emer­genti, Bra­sile com­preso. E nono­stante le ras­si­cu­ra­zioni ormai quo­ti­diane del governo sul rispetto dei para­me­tri euro­pei e del tetto del 3%, le nuove cifre lan­ciano comun­que un’ombra sul deficit.

Se l’Italia dovesse effet­ti­va­mente chiu­dere il 2014 con il segno meno, infatti, la situa­zione dei conti pub­blici si com­pli­che­rebbe. Secondo il segre­ta­rio gene­rale dell’Ocse Angel Gur­ria, comun­que, il pre­mier Renzi sta tenendo sotto con­trollo i conti ma l’Italia, la cui ripresa sarà più lenta rispetto agli altri paesi Ue, dovrà acce­le­rare il pro­cesso di riforme. La revi­sione al ribasso è stata gene­ra­liz­zata. Tranne che per l’India, l’Ocse ha tagliato le stime di tutti i mag­giori Paesi. Com­presa Euro­lan­dia, dove la cre­scita si dovrebbe fer­mare allo 0,8% quest’anno, con­tro l’1,2% cal­co­lato nella pri­ma­vera scorsa, per poi asse­starsi all’1,1% l’anno prossimo.

Il giu­di­zio è piut­to­sto severo anche per l’Europa. Il recu­pero dell’area euro, spe­ci­fica l’Ocse, «rimane delu­dente», spe­cial­mente nei Paesi più grandi, anche quindi in Fran­cia e nell’“intoccabile” Ger­ma­nia. Nel vec­chio con­ti­nente, la fidu­cia «si sta inde­bo­lendo», la domanda è «ane­mica» e su tutto grava lo spet­tro della defla­zione, la stessa che ha schiac­ciato il Giap­pone per anni e che potrebbe ora appiat­tire anche l’Europa, ren­dendo vani gli sforzi di poli­tica mone­ta­ria (vedi alla voce Bce). Per l’Ocse «men­tre la ripresa in alcune eco­no­mie peri­fe­ri­che è inco­rag­giante, altri Paesi fron­teg­giano sfide strut­tu­rali e di bilan­cio, con il peso di un alto debito». La ricetta sta in un mix di fles­si­bi­lità e riforme: «Vista la debo­lezza della domanda, la fles­si­bi­lità all’interno delle regole euro­pee dovrebbe essere uti­liz­zata per soste­nere la cre­scita», acce­le­rando le riforme.

La minac­cia del «Jobs Act»

In Ita­lia, la riforma delle riforme è quella dell’articolo 18. L’Ncd è tor­nato alla carica per la can­cel­la­zione, non invisa a una parte dello stesso Pd. Ieri ad esem­pio Fran­ce­sco Boc­cia si è espresso a favore di un suo «supe­ra­mento», mutuando l’espressione usata dallo stesso Mat­teo Renzi. Supe­ra­mento che fa tanto pen­sare alla for­mula Sacconi/Ichino: eli­mi­nare del tutto la rein­te­gra, e risar­cire il lavo­ra­tore licen­ziato con una somma cre­scente in pro­por­zione all’anzianità.

«La rein­te­gra non si tocca», ha ripe­tuto ieri Cesare Damiano, soste­nuto da Van­nino Chiti, che dice «no a una ridu­zione dei diritti».

Damiano spiega che «non siamo più all’articolo 18 del 1970, la tutela è stata rifor­mata nel 2012 e non se ne sono ancora moni­to­rati gli effetti. Renzi e il mini­stro Poletti indi­cano una riu­nione di mag­gio­ranza: non pos­siamo pro­ce­dere divisi, al buio. Rischiamo un rim­pallo del Jobs Act tra Camera e Senato, e così non cen­tre­remo la dead line di ini­zio novembre».

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