di Alberto Piccinini

Pas­sata la prima set­ti­mana di Mon­diale, viste le squa­dre in campo, si pos­sono dire due cose: a) finite le scuole nazio­nali, nel cal­cio di oggi ci sono squa­dre costruite per tenere palla e squa­dre costruite per rubare palla; il pro­cesso non è nuovo, tra­duce in schemi la guerra tra guar­dio­li­sti e mou­ri­niani, tiki-taka vs. con­tro­piede in corso da anni nell’empireo dei grandi club euro­pei. b) il cal­cio pro­fes­sio­ni­stico di oggi è defi­ni­ti­va­mente gen­tri­fi­cato, come si dice della tra­sfor­ma­zione sociale di certi quar­tieri ex popo­lari delle città; la con­qui­sta dell’antico Eden cal­ci­stico del Bra­sile (là dove il cal­cio si gio­cava da bam­bini sulla spiag­gia a piedi nudi…) rende defi­ni­tivo un pro­cesso (ine­vi­ta­bile?) ini­ziato esat­ta­mente venti anni fa nel Mon­diale costruito dal nulla negli Stati Uniti.

Ci sono legami tra que­sti due pro­cessi, tra l’estetica (diciamo così) e la socio­lo­gia del cal­cio? Vediamo. La par­tita Olanda-Spagna 5–1, una di quelle più sor­pren­denti e cele­brate fin qui è stata — e resterà comun­que vada — para­dig­ma­tica: l’Olanda chiusa in trenta metri come una testug­gine romana (in totale spre­gio della sua tra­di­zione cal­ci­stica), la Spa­gna a rumi­nare un tiki-taka lento e invec­chiato come i suoi pro­ta­go­ni­sti, cam­pioni del mondo in carica. Qual­cosa del genere si è visto pure nei pareggi tra Brasile-Messico e Iran-Nigeria, per­sino, e nell’attesissima Belgio-Algeria, dove i nor­da­fri­cani hanno chiuso ogni linea di pas­sag­gio fin­ché da uno strappo nella tela (bel colpo di testa del belga-marocchino Fel­laini) sono usciti i due gol della vittoria.

Sono gli strappi nella tela, in un cal­cio che viag­gia nel mondo dei Big Data quelli che alla fine risol­vono più spesso le par­tite. Gli strappi, e quelle che in gergo tec­nico si chia­mano situa­zioni di palla inat­tiva: calci d’angolo, puni­zioni (di grande effetto sce­nico, a pro­po­sito, la bom­bo­letta spray in dota­zione all’arbitro per segnare il punto esatto della bat­tuta e della bar­riera nelle punizioni).

Una parola andrebbe spesa anche per la nostra Nazio­nale — da met­tere nel novero di quelle che «ten­gono palla» — per la sua dispo­si­zione tat­tica inge­gnosa, fles­si­bile (quasi una ver­sione del made in Italy adat­tata alle spe­ran­zelle ren­ziane) costruita sugli uomini a dispo­si­zione di Pran­delli a comin­ciare dal «pro­fes­sore» Pirlo e dal rap­per Balo­telli, uni­ver­sal­mente lodata dopo la vit­to­ria con­tro l’Inghilterra.

Benino le altre star. Messi, alla fine, ha segnato il gol che aspet­tava da anni. Cri­stiano Ronaldo, pove­retto, momen­ta­nea­mente offu­scato dalla forza tran­quilla della Ger­ma­nia, forse la squa­dra più con­vin­cente all’esordio. Come da copione, la nar­ra­zione quo­ti­diana si arric­chi­sce di per­so­naggi e eventi minori, spesso unici. In Rete si macina di tutto, in quan­tità mai nep­pure imma­gi­nate sol­tanto vent’anni fa, dai tweet dei cal­cia­tori alle ana­lisi dot­tis­sime, tec­ni­cis­sime e ver­bo­sis­sime e dei cosid­detti hip­ster calcistici.

L’Iran ha una punta cen­trale che vive in Olanda, suona il vio­lino, è un dan­za­tore sufi (pare), stu­dia lin­gue e diritto. Si chiama Reza Ghoo­chan­ne­j­had, per como­dità Reza. Negli Usa affi­dati a Jur­gen Klin­smann si sco­pre il solito cam­pio­na­rio di irre­go­lari come il cen­tro­cam­pi­sta rasta Kyle Bec­ker­man. Nel giorno della ria­per­tura della biblio­teca di Sara­jevo, la Bosnia Erze­go­vina scende in campo con Mira­lem Pja­nic e impe­gna l’Argentina di Messi. Per il gran­dis­simo pub­blico, infine, Ney­mar piange all’inno bra­si­liano, si stinge e si ritinge i capelli di biondo, pub­bli­cizza un intero super­mer­cato di merci, in campo si danna per mostrare i suoi numeri, segna gol e si fa parare un colpo di testa a botta sicura dal por­tiere mes­si­cano Ochoa. Imme­dia­ta­mente esplo­dono gli archivi video: incre­di­bile, il colpo è uguale a quello di Pelè con­tro Gor­don Banks in Brasile-Inghilterra del 1970, «la parata del secolo». Nella parte di Gor­don Banks un por­tiere senza squa­dra (Ochoa), licen­ziato dall’Ajaccio retro­cesso in serie b francese.

Si può gio­care a cal­cio nel domi­nio del puro spet­ta­colo, fuori dalla Sto­ria? No che non si può. Tutti i pro­cessi di gen­tri­fi­ca­zione hanno biso­gno di una ver­sione edul­co­rata della tra­di­zione, kitsch e acces­si­bile a tutti, mol­ti­pli­cata dalla potenza archi­vi­stica della Rete e sfrut­tata dal mar­ke­ting. Alla tele­vi­sione, ore e ore di rie­vo­ca­zione roman­tica dei Mon­diali pas­sati. Magliette delle squa­dre «ispi­rate» ai segni di pas­sate gran­dezze. Deliri da archi­star per stadi nuo­vis­simi su ter­reni addi­rit­tura mito­lo­gici, come il vec­chio Mara­canà. In un’intervista a Libe­ra­tion l’attivista bra­si­liana Ceci­lia All­ridge attacca: «La Coppa del Mondo è un avve­ni­mento che per­mette alle auto­rità di giu­sti­fi­care un pro­cesso di ristrut­tu­ra­zione della città che espelle i poveri e sfrutta i lavo­ra­tori. È un pro­cesso fisico e ideo­lo­gico. Basta ven­di­tori ambu­lanti fuori dallo sta­dio, aumento dei prezzi degli affitti, spe­cu­la­zioni nei quar­tieri, prezzi proi­bi­tivi dei biglietti, sfrut­ta­mento ses­suale ecc».

Non si dimen­ti­cherà come que­sto Mon­diale è ini­ziato, con le mani­fe­sta­zioni e il «tifo con­tro» di migliaia di bra­si­liani in piazza. A che punto è que­sta bat­ta­glia? Il cal­cio d’inizio, come molti spe­ra­vano, ha risuc­chiato tutti di fronte agli schermi della tv? Sugli spalti degli stadi bra­si­liani, intanto, le tele­ca­mere rilan­ciano l’immagine di un pub­blico di classi medie glo­ba­liz­zate di tutto il mondo, capace di affron­tare i prezzi della tra­sferta, rive­stito con le magliette (ori­gi­nali) della pro­pria squa­dra, che canta con tra­sporto l’inno nazio­nale si riprende con gli smart­phone. La spet­ta­co­la­riz­za­zione è com­piuta? I segni dell’economia e il mar­ke­ting sosti­tui­scono defi­ni­ti­va­mente il valore poli­tico e col­let­tivo del cal­cio, espulso dallo sta­dio e dai suoi circondari.

E tut­ta­via la per­for­mance di alcune nazio­nali è ancora attra­ver­sata dal fre­mito di una qual­che con­tem­po­ra­neità: alla vit­to­ria annun­ciata del Bra­sile è appeso il futuro di Dilma San­tos alle pros­sime pre­si­den­ziali; i mode­rati in Iran fanno il tifo per la spe­di­zione del Team e-Melli (e in Nige­ria intanto la pas­sione per il cal­cio è ber­sa­glio di gruppi estre­mi­sti isla­mici); per la Rus­sia, nazione che ospi­terà i pros­simi Mon­diali, il corto cir­cuito tra Putin e l’arrugginito ser­gente di ferro Fabio Capello già pro­mette malis­simo. Strappi nella tela, nel bene e nel male.

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