di Antonio Sciotto

Prima di fer­ra­go­sto non poteva man­care l’ultimo dato (nega­tivo) sulla nostra eco­no­mia: e poi via, da lunedì pros­simo si riparte. Per una nuova sta­gione. Irta però, lo temiamo, di tagli e contro-riforme. Prima i numeri: la Banca d’Italia ieri ha pub­bli­cato il suo rap­porto sul debito pub­blico. Ebbene, il rosso dei conti ita­liani quest’anno è schiz­zato all’insù, bat­tendo un nuovo record sto­rico: l’aumento in giu­gno è stato di 2 miliardi di euro, e l’intero stock ha così rag­giunto i 2.168, 4 miliardi.

Ancora più elo­quente l’incremento dei primi 6 mesi del 2014: il debito pub­blico è aumen­tato di 99,1 miliardi, gra­zie alla som­ma­to­ria di diversi fat­tori. Innan­zi­tutto il fab­bi­so­gno della mac­china sta­tale (pari a 36,2 miliardi), ma ha con­tri­buito anche l’aumento delle dispo­ni­bi­lità liquide del Tesoro (67,6 miliardi). L’aumento però è stato con­te­nuto, per 4,8 miliardi di euro, dall’apprezzamento dell’euro e dalla riva­lu­ta­zione dei buoni del Tesoro (Btpi).

Giù, a causa della crisi, anche le entrate tri­bu­ta­rie: 42,7 miliardi in giu­gno (-3,5 miliardi, pari a –7,7%, rispetto allo stesso mese del 2013). Nei primi sei mesi dell’anno le entrate sono dimi­nuite dello 0,7% (1,3 miliardi) a 188,1 miliardi.

L’incremento del debito – e le cre­scenti dif­fi­coltà sul defi­cit – ren­dono pur­troppo ancora più pres­santi gli impe­gni euro­pei: il Patto di sta­bi­lità e il Fiscal Com­pact. E va ricor­dato che il Pil con­ti­nua a far fatica a cre­scere, men­tre i prezzi sono entrati in spi­rale deflat­tiva. Tutte aggravanti.

Ci pos­siamo aspet­tare quindi un governo ancora più deter­mi­nato a tagliare, e ad acce­le­rare i pro­getti di spen­ding review (insieme agli spre­chi, via il wel­fare?). D’altronde, qual è stato l’oggetto degli incon­tri del pre­mier Mat­teo Renzi prima con il gover­na­tore della Bce, Mario Dra­ghi, e poi con il pre­si­dente della Repub­blica, Gior­gio Napo­li­tano? Il piatto forte della poli­tica d’autunno sono le “riforme” economiche.

Vanno inclusi nei tagli che ci aspet­tano, anche quelli ai diritti. Il dibat­tito sull’articolo 18 di que­sti giorni, sep­pure aperto da Ange­lino Alfano pro­ba­bil­mente per aumen­tare la visi­bi­lità dell’Ncd, con­tiene però un fondo di “verità”: ovvero che la “tutela delle tutele”, l’ultimo argine dai licen­zia­menti ingiu­sti­fi­cati, è in peri­colo. Uno stru­mento, l’articolo 18, che garan­ti­sce la soprav­vi­venza del sin­da­cato, e quindi, sep­pur indi­ret­ta­mente, una difesa per i precari.

Ma ora, nella gene­rale riforma dello Sta­tuto dei lavo­ra­tori – annun­ciata dal pre­mier – potrebbe rischiare di sal­tare anche l’articolo 18. Che sarà pure un «totem», di cui «è inu­tile adesso discu­tere se abo­lirlo o meno» (parola di Renzi), ma appunto la minac­cia non per que­sto è esclusa.

I pasda­ran dell’abolizione, Alfano e il super teo­rico Mau­ri­zio Sac­coni, pre­si­dente della Com­mis­sione Lavoro del Senato, hanno spie­gato che la riforma dello Sta­tuto, attuata con il Jobs Act in discus­sione da set­tem­bre, avverrà attra­verso i «decreti dele­gati», stru­mento par­la­men­tare che pre­vede un parere «non vin­co­lante» delle com­mis­sioni. Quindi l’iter sarà ancora più age­vole, se si vorrà smon­tare il 18: E a mag­gior ragione, se Forza Ita­lia darà il suo sostegno.

Già da giorni Renato Bru­netta e Gio­vanni Toti cor­teg­giano Renzi, per­ché Forza Ita­lia vor­rebbe allar­gare il Patto del Naza­reno anche alle misure eco­no­mi­che. Ieri un tweet sim­pa­tiz­zante, a com­mento del boom del debito, da parte di Bru­netta: «mat­teo­renzi Bum! Ma biso­gna voler­gli bene… è pur sem­pre il nostro pre­si­dente». E se lo dice lui…

Quanto ai fondi comu­ni­tari, e all’allarme dell’Eurispes, secondo cui sta­remmo spre­cando anche quelli del ciclo 2014–2020, ieri la Com­mis­sione Ue ha ras­si­cu­rato: «I nego­ziati con Roma sull’accordo di par­te­na­riato per il 2014–2020 sono a fine. Per que­sto non c’è rischio che l’Italia possa per­dere i 41 miliardi di fondi Ue della programmazione».

E lo stesso pre­si­dente del con­si­glio Renzi ha garan­tito: «I fondi Ue l’Italia negli ultimi decenni li ha spesi peg­gio di come avrebbe potuto. Il nostro governo cer­cherà di cam­biare il modello: dob­biamo fare come i polac­chi, che spen­dono il 98%».

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