La manovra economica del governo Renzi è liberista e confindustriale, ma non nello stile classico, è condita con qualche misura propagandistica, il cui costo alla fine sarà scaricata sui lavoratori, sui cittadini più poveri e sui malati. Inoltre non è neanche una finanziaria espansiva, in quanto come dimostrano diversi studi, se la spesa pubblica scende, nel 2015 avremo ancora recessione. L’impoverimento in Italia non è solo economico, ma anche progettuale. I grandi paesi europei hanno mantenuto importanti quote pubbliche nelle aziende di interesse strategico. Tutti sanno che le multinazionali e i grandi gruppi, come dappertutto, producono in Italia solo con aiuti statali o regionali, non investono nella tutela dei lavoratori e nella salvaguardia dell’ambiente, spolpano le aziende dei brevetti più qualificanti e vanno dove possono trarre maggior profitto, lasciando, anche infastiditi, terreno bruciato.

Per USB è giunta l’ora che la proposta di un controllo pubblico di tali aziende non venga più etichettato come un ritorno al passato o peggio come misura insostenibile economicamente. Quello che si vorrebbe non è una gestione preda di partiti e dei sindacati concertativi, ma un ruolo attivo dello Stato, con un trasparente piano di politica industriale che sottragga i lavoratori e i cittadini dai continui ricatti. La realtà ci dice che l’attuale politica del grande capitale, oltre ai costi sociali, implica anche costi economici.

D’altronde - è la riflessione che USB fa - la Fiat, con i più diversi aiuti pubblici, è come se fosse stata acquistata diverse volte dai contribuenti italiani. La vicenda della Fiat è nota, come risaputo è il danno provocato dall’Ilva di Taranto. Mentre la Thyssen a Terni vuole imporre 537 licenziamenti e un piano di risparmio di 100 milioni annui. Se a tale provocazione si risponderà con il solito aiutino pubblico in cambio di minori esuberi, si sancirà il destino della fabbrica e del territorio (come la crisi della IMS a Spoleto e della Merloni a Gualdo Tadino) con un forte impatto per l’intera economia umbra.

Lo sciopero generale, fa notare l'USB, si è reso necessario per contrastare le politiche economiche e sociali del governo Renzi e per una redistribuzione della ricchezza (negli ultimi anni hanno spostato 1.500 miliardi all’anno dai salari ai profitti) e in sintesi le motivazioni sono le seguenti:

  1. Contro le misure per il mercato del lavoro, contro l’abolizione dell’art.18 e la riforma Fornero sulle pensioni; per un ruolo pubblico nell’economia, per il reddito minimo garantito e consistenti aumenti per lavoratori e pensionati.
  2. Contro il pareggio di bilancio nella Costituzione e gli altri trattati antipopolari dell’UE; per massicci investimenti nella scuola, nella sanità, nei servizi pubblici e nella difesa del territorio.
  3. Contro l’accordo del 10 gennaio 2014 tra la Confindustria e CGIL-CISL-UIL che impedisce la libera democrazia nelle fabbriche e per favorire la partecipazione dei lavoratori alle vicende nei propri posti di lavoro.

Come luogo della manifestazione in Umbria l'USB ha scelto di ritrovarsi davanti ai cancelli dell’AST, dalle ore 10 alle ore 14. Ai lavoratori e ai cittadini esprimono solidarietà e lanciano la proposta di togliere le acciaierie agli speculatori, nazionalizzarle per difendere la dignità, l’occupazione, l’ambiente e per garantire, anche in Italia, un futuro ai giovani.

Condividi