Ultimi appelli delle sini­stre Pd a Renzi per evi­tare di tra­sfor­mare la dire­zione di domani in una resa dei conti finale. «Non si salva il paese divi­den­dolo» scrive Gianni Cuperlo in una nota acco­rata. Ste­fano Fas­sina dall’Huf­fing­ton Post rivolge «dieci domande» a Renzi per sapere «quali sono i prin­ci­pali con­te­nuti della legge di sta­bi­lità in arrivo», per veri­fi­care la con­cre­tezza della riforma degli ammor­tiz­za­tori sociali, pre­con­di­zione — scrive — per la riforma del lavoro.

Ma stando agli ultimi bol­let­tini, Renzi — tor­nato dagli Usa ma ieri impe­gnato come testi­mone delle nozze dell’amico Marco Car­rai — ancora non avrebbe deciso il tasso di inten­sità da impri­mere alla zam­pata. Da New York ha spie­gato che «ascol­terà» ma poi «deci­derà». A Detroit, accanto a Mar­chionne, ha però aggiunto che non gli inte­ressa cosa pensa «que­sto o quell’esponente del mio par­tito» ma «resti­tuire un po’ di lavoro al nord e al sud». Meno di un anno fa soste­neva di non aver «mai incon­trato alcun impren­di­tore che mi ha detto che è fon­da­men­tale can­cel­lare l’art.18» e che «se si riparte dal derby ideo­lo­gico sull’art.18 sei finito, è il modo per andare in melma» (dicem­bre 2013). Ha deciso di «andare in melma»?

A una media­zione lavo­rano alcuni pon­tieri di fidu­cia del pre­mier. Strade dif­fi­cili, anche dal punto di vista tec­nico. Per il pre­si­dente del Pie­monte Ser­gio Chiam­pa­rino — il cui scam­bio via sms con Renzi è stato pub­bli­cato da Repub­blica — andrebbe riscritta «una casi­stica molto limi­tata» per il rein­te­gro obbli­ga­to­rio. Con l’onere della prova affi­data al lavo­ra­tore che si dice discri­mi­nato. «Così mi va bene», la rispo­sta di Renzi. Ma Ser­gio Lo Giu­dice, sena­tore Pd e già pre­si­dente Arci­gay, lo stoppa: «Caro Chiam­pa­rino, biso­gne­rebbe prima con­vin­cere l’Europa a riti­rare la diret­tiva 78/2000. Ber­lu­sconi ci aveva pro­vato, con il decreto legi­sla­tivo 216 del 2003, a rece­pirla ponendo l’onere della prova sulle spalle del lavo­ra­tore discri­mi­nato ma l’Ue ha avviato una pro­ce­dura di infra­zione e l’Italia nel 2008 ha dovuto fare mar­cia indietro».

Diversa la strada ten­tata da Mat­teo Orfini, pre­si­dente del Pd: anche in que­sto caso pre­vede una riscrit­tura det­ta­gliata della casi­stica dei licen­zia­menti discri­mi­na­tori per i quali pre­ve­dere il rein­te­gro. Certo è che sarà dif­fi­cile scen­dere nel det­ta­glio domani, durante la ker­messe in strea­ming della dire­zione. Al pre­mier inte­ressa solo incas­sare un sì vin­co­lante del suo par­tito. Negata ogni inten­zione scis­sio­ni­sta, la sini­stra interna, tito­lare di una tren­tina di voti su circa 150, se ne dovrà fare una ragione?

Molto dipende da cosa effet­ti­va­mente si voterà in dire­zione. Un testo o la rela­zione del segre­ta­rio? Sem­bra un det­ta­glio. Ma in que­sto secondo caso potrebbe lasciare alla mino­ranza la pos­si­bi­lità di dif­fe­ren­ziarsi nei voti in aula. Qui va segna­lato lo scon­tro diretto Orfini-Bersani. Il primo ricorda all’ex segre­ta­rio l’art.10 della Carta di intenti della (fu) coa­li­zione Ita­lia Bene Comune che vin­cola i par­la­men­tari alle deci­sioni della mag­gio­ranza. Un pas­sag­gio for­tis­si­ma­mente voluto da Ber­sani per tenere anco­rata Sel ai patti. Ma i ’rifor­mi­sti’ non ci stanno. «Sul lavoro mi sento vin­co­lato al pro­gramma con cui sono stato eletto», chia­ri­sce il sena­tore Miguel Gotor. «Spero che non si dram­ma­tizzi. Spo­setti ed io abbiamo votato con­tro la can­cel­la­zione del finan­zia­mento pub­blico ai par­titi e nes­suno ne ha fatto un caso».

Il busil­lis è capire quanti sena­tori ’dis­si­denti’ sareb­bero alla fine dispo­sti a non votare la legge. Ne bastano meno di dieci per­ché la riforma passi con il voto deter­mi­nante di Forza Ita­lia, che entre­rebbe così di fatto nella mag­gio­ranza. Non a caso ieri il Cava­liere ha offerto a Renzi il suo abbrac­cio (mor­tale) sull’art.18: «Quando noi era­vamo al governo e lo vole­vamo cam­biare la Cgil mandò milioni di per­sone in piazza per impe­dir­celo. Come pos­siamo dire di no a quelle riforme che noi vole­vamo?». Il futuro del governo per Ber­lu­sconi è già scritto, e lo riguarda: da una parte la sini­stra «ideo­lo­gica», con Renzi quella «social­de­mo­cra­tica». «Suc­ce­derà come suc­cesse in Inghil­terra con la nascita dal par­tito labu­ri­sta. E que­sta sarà una lista con cui potremo lavorare».

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