Riuscire a commuovere il glaciale D’Alema è un evento. Ci è riuscito Francesco Del Grosso che nella sezione L’altro cinema/Extra del 6° Festival Internazionale del Film di Roma porta "11 metri", su ( e di fatto con) Agostino Di Bartolomei. Un’ esistenza che già di suo è una sceneggiatura, lo sa Paolo Sorrentino che l’Andrea Renzi del suo esordio "L’uomo in più", come racconta nel documentario Curzio Maltese, lo ha scritto pensando al numero 10 della Roma dello scudetto di Liedholm.

Lo sa Del Grosso che al biopic unisce il ritratto intimo e il “noir”, con quella data, 30 maggio, che a dieci anni di distanza (1984-1994) accomoda la finale di Coppa Campioni persa – nonostante il suo rigore realizzato tra dolori e stanchezza – e il suo suicidio. Di Bartolomei si sparò al cuore, abbandonato dal calcio, schiacciato dalla burocrazia, ferito dalla nostalgia canaglia di quella relazione viscerale con i tifosi e con il campo in cui lui, riservatissimo, diventava un leone. Il regista intervista amici e compagni (Tancredi, Conti, Chierico, Righetti), giornalisti e dirigenti. Tutti con un ricordo speciale, tutti un po’ colpevoli di non aver capito il disagio di quel malinconico campione, cantato sui titoli di coda da Antonello Venditti con "Il tradimento e il perdono".

E c’è Luca, quel figlio che ricorda in tutto l’amatissimo padre. Lo valuta con la lucidità che si deve ai grandi uomini e ai grandi affetti: “togliersi la vita è una cosa stronza e imponderabile”. Ma dichiara anche la “grandissima fortuna di averlo avuto vicino”.
Del Grosso ci presenta il Di Bartolomei bambino, capitano giocatore, l’appassionato d’arte e il sindacalista, il sognatore – voleva un centro sportivo nel salernitano, fu soffocato dalla malapolitica e dalle invidie – il padre, il marito.

Cuce tutto alla perfezione, sempre profondo e mai retorico. Tanto che Ago, in questi 88 minuti, è vivo, è uno di noi. E ci manca.

B.S.

Fonte: Liberazione del 2 novembre 2011
 

 

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