A.C.Perugia, stagione 1973-1974.

di Elio Clero Bertoldi.
Mi aveva colpito il suo nome, Bruno Baiardo. Non solo perché il cognome del trentino, indicava un cavallo generoso e gagliardo, come in effetti il difensore si dimostrò in campo, ma perché richiamava alla memoria Pierre Bayard (italianizzato in Baiardo), il cavaliere francese senza macchia e senza macchia e senza paura, delle guerre d’Italia a cavallo tra il Quattrocento ed il Cinquecento (la battaglia di Agnadello, l’assedio e la presa di Brescia) e morto eroicamente sui passi alpini quando aveva meno di cinquanta anni. E poi intrigava l’approdo al Santa Giuliana dell’italo-argentino, sorta di "gaucho" pugliese, Miguel Vitulano (baffi giganteschi, fisico macchinoso), che attraversò il cielo perugino come una meteora. Di quella squadra - affidata prima a Costanzo Balleri, detto il Lupo (compagno del grande Armando Picchi nella difesa del Livorno) e poi a Leandro Remondini, ormai a fine carriera - rammento con simpatia accanto ai vari Grosso (uno dei primi laureati del calcio), Innocenti (tra i calciatori poi diventati perugini a tutti gli effetti), Zana, il “rosso” di capelli Lombardi, Petraz, il metodico Picella (uno degli acquisti migliori di quella stagione), l’elegante Vanara, i cannonieri Urban e Scarpa (miglior bomber della stagione: 8 reti), soprattutto gli amici della pattuglia “perugina” formata da Claudio Tinaglia, Massimo Lupini, Walter Sabatini.
La stagione si rivelò sofferta, oltre ogni dire. Il presidente Dino Fanini, che aveva mantenuto la struttura portante della stagione precedente, sbagliò la scelta dei tecnici. Sull’ambiente, per di più, continuava a incombere l’ombra del “sor” Guido Mazzetti, che divideva fieramente la piazza. La sconfitta interna col Como aggravò la crisi fino a farla rumorosamente esplodere con l’esonero del tecnico e la perdita di credibilità della stessa presidenza. Sulla panchina arrivò Remondini, con venti anni di panchine (anche all’estero) sulle spalle. Illuse la vittoria al Cibali sul Catania di Mazzetti (gol di Urban), ma il cammino rimase ansante ed altalenante fino all’ultima giornata quando i grifoni - dopo la bruciante sconfitta interna con dalla Reggina, pure lei in corsa per la salvezza - passarono, la domenica successiva, a Parma e con quella vittoria agganciarono il quattordicesimo posto e la salvezza (proprio a scapito dei calabresi). Sul campo la doppietta vincente la firmò Mario Scarpa. Ma su quella incredibile e insperata vittoria corsara scoppiò un caso clamoroso passato alla storia sportiva come lo “scandalo del casello di Parma”. Il Perugia si trovò a combattere una battaglia apparentemente persa, anche perché il maggior quotidiano sportivo, la rosea, si era schierato a fianco degli accusatori. Quando sembrava tutto perduto e si profilava, concreta, la discesa negli inferi della C, il miracolo: il professor Fabio Dean e l’avvocato Enzo Paolo Tiberi pescarono e calarono il jolly: un testimone grazie al quale riuscirono a convincere la giustizia sportiva di come le voci di “combine” fossero frutto di cattiverie e di invidie interessate.
Quel torneo si rivelò, comunque, l’ultimo di quell’epoca disputato con patemi e tormenti. Tra i dirigenti emersero Franco D’Attoma e Spartaco Ghini. I quali posero le basi di un gruppo societario (Pascoletti, Gradassi, Ciai, tra gli altri) più solido e strutturato, puntarono su un giovane allenatore (Ilario Castagner, allora nel settore giovanile dell’Atalanta e già apprezzato attaccante biancorosso), chiamarono il tifernate Silvano Ramaccioni, quale direttore sportivo e spalancarono le porte ad uno dei periodi più belli, se non il più bello, della storia del Grifo: la promozione in A e la lunga permanenza (coronata con il campionato dell’Imbattibilità) nella massima categoria.

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