di Elio Clero Bertoldi
 

PERUGIA - Furono quasi undicimila i morti umbri nella Prima Guerra Mondiale. "Il più alto numero, in percentuale rispetto alla popolazione - ha sottolineato il professor Marco Pizzo, curatore della mostra aperta a palazzo Baldeschi in corso Vannucci - in confronto alle altre regioni italiane".
Tra questi undicimila caduti - la gran parte dei quali contadini e operai, quasi tutti illetterati o comunque che sapevano appena leggere e scrivere - anche il perugino Enzo Valentini, conte di Laviano, che invece era un amante della poesia, dell'arte e della scienza e che ha lasciato, come testimonianza del suo sacrificio, una toccante lettera alla sua mamma, esposta nelle teche della mostra.

Valentini - cresciuto in una famiglia liberale e di spirito risorgimentale e parente di un ministro e di sua moglie, la principessa Maria Alessandrina Bonaparte - era partito volontario appena compiuti i 18 anni. Tra i documenti esposti a palazzo Baldeschi l'epigrafe che i suoi genitori fecero scrivere sulla sua lapide ("Enzo Valentini, dei conti di Laviano, 18 anni, soldato volontario, cadde combattendo da eroe il 22 ottobre 1915, immolando per l'ideale della patria con serena coscienza la promettente giovinezza") e la lettera che lui stesso vergò il 27 giugno 1915, pochi giorni prima di partire per la prima linea, per rappresentare le sue ultime volontà in caso di morte.

Scrisse, Enzo Valentini, che la missiva - vero testamento spirituale - doveva essere aperta nel giorno "della sua morte corporale" dalla madre, in primis, come anche dal padre e dai fratelli. Il giovanissimo soldato affida alla madre e ai suoi cari i suoi amatissimi libri, la sua collezione di insetti e il catalogo ("curala", si raccomandava), i suoi disegni, acquerelli, oli, acqueforti e quelli di altri artisti che possedeva, le "bazzecole eleganti" che adornavano le sue stanze e i suoi cassetti e i "ferri del mestiere" (microscopio, retina, pinzette). "Darai un nonnulla, scelto tra le mie cose che meno ti premono, alle persone che mi hanno voluto bene" - la pregava. La parte più toccante e commovente è quella finale, in cui distingueva la vita corporale, da quella spirituale. "Sono da Dio e a Dio debbo tornare - argomentava - La morte è una liberazione ed è il principio della vera vita. È il ritorno all'infinito. Perciò, mamma, non piangere. Se tu penserai alla immortale bellezza delle idee a cui la mia anima ha voluto sacrificare il mio corpo, non piangerai. E se il tuo cuore profondo di Madre piangerà, versarle pure le tue lacrime: saranno sante perché son sante, sempre, le lacrime di una madre. Che Iddio le conti: saranno stelle per la tua corona".

Poi il finale: "Sii forte, Mammina. Dall'al di là ti dice addio, a te, a Papà, ai fratelli, a quanti amarono il tuo figlio, che dette il suo corpo per combattere chi voleva uccidere la luce, Enzo".

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