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di Rossano Gattucci* Come sottolinea Mario Ruzzenenti, nel suo libro L’Italia sotto i rifiuti, la quantità di rifiuti prodotti è l’indice del grado di “sviluppo” di una società, mentre il modo di trattarli sta ad indicare il suo livello di cultura e di civiltà. Dopo gli anni del “tutto in discarica”, con il conseguente e graduale esaurimento di tali luoghi di conferimento, di fronte a quello che da più parti si sta segnalando come una vera e propria emergenza, si prospetta con sempre maggiore insistenza la “via tecnologica” per lo smaltimento dei rifiuti, cioè l’incenerimento, che con una buona dose di fantasia viene chiamato termovalorizzazione. L’enfasi posta su questa soluzione sembra lasciare sempre meno spazio ad altre ipotesi, per cui, semplificando sembrerebbe che l’immondizia sparisca e si trasformi in energia pulita e rinnovabile. E’ evidente che ci troviamo di fronte all’ennesima trappola tecnologica che ci libera dai rifiuti, ma crea come effetti collaterali altre sgraditi problemi molto più insidiosi. Per tutti l’esempio dell’inceneritore di Brescia, il più grande d’Europa, generatore di numerose discariche, produttore di poca energia e causa di devastanti effetti ambientali e sanitari. A prima vista sembrerebbe assurdo pensare che un inceneritore crei discariche, ma si dovrebbe ricordare che questi ecomostri, ormai datati e desueti, sono in realtà riduttori di masse e che le ceneri prodotte sono altamente tossiche, per cui devono essere inertizzate e conferite in discariche speciali, delle quali, per esempio, qui in Umbria non v’è traccia. Altre questioni sollevate da tali impianti sono la loro localizzazione, i tempi di realizzazione e i costi di costruzione e di manutenzione. A fronte di tutto ciò, oltre a contrastare le problematiche sanitarie e di impatto ambientale per le quali esiste una letteratura enciclopedica, perché non si cerca di studiare e di realizzare un percorso virtuoso di recupero dei rifiuti? Basterebbe guardare al Veneto e analizzare l’esperienza del Consorzio Priula, dove la riduzione all’origine dei rifiuti e la raccolta differenziata sono un fatto ormai acclarato. Non è scegliendo la soluzione più semplice che si ottengono i risultati migliori, anche perché, per sua natura, quello della gestione dei rifiuti è un argomento di grande complessità e come tale va affrontato e studiato per dare ai cittadini le risposte più adeguate e vantaggiose. Alla luce di quanto detto sarebbe necessario imperniare un piano dei rifiuti su alcuni punti fondamentali: interventi legislativi che orientino le industrie verso la diminuzione degli imballaggi e, dove possibile, sostituzione delle plastiche con materiali completamente riciclabili; in alcuni paesi europei sono state intraprese iniziative tese alla riduzione del confezionamento incentivando sia le aziende di rivendita sia gli utenti; un processo di gestione dei rifiuti che ponga il conferimento differenziato dei rifiuti come elemento vincolante della filiera, per cui l’utente dovrebbe essere aiutato nello svolgimento di questa attività di differenziazione da un punto di vista logistico e tecnologico e incentivato economicamente; l’allestimento di centri per il trattamento biomeccanico dove i rifiuti differenziati e la eventuale parte non differenziata subiscono un’ulteriore separazione per garantire una migliore gestione delle fasi successive del recupero dei materiali; la costruzione di un ecoparco dove raccogliere tutto il materiale differenziato, dal quale dovrebbero uscire materiali riciclati pronti ad essere immessi di nuovo nel mercato; creazione di un’anagrafica delle aziende produttrici di beni costituiti da materiali destinati a diventare rifiuti tossico-nocivi al fine di monitorare tali prodotti dall’origine allo smaltimento finale. Un’idea di questo tipo, che non si discosta nei principi di massima da quanto si realizza in altre realtà, ridurrebbe di circa l’80% la quantità dei rifiuti. Alla fine del trattamento rimarrebbe una parte da dover conferire ancora in discarica, ma con una massa e un volume minori delle ceneri derivanti dalla termovalorizzazione. Senza dubbio sarebbe necessario uno sforzo importante da parte delle istituzioni da un punto di vista economico e culturale. Ma si tratterebbe di investimenti minori di quelli previsti per un inceneritore e comunque di un elevato valore sociale, di grande sensibilità e di rispetto per i problemi ambientali che saranno il banco di prova sul quale, a breve, tutti si dovranno misurare. Quest’ipotesi potrebbe essere un punto di partenza per discutere e cercare una soluzione sostenibile e condivisa, perché la forza dei fatti dà ragione a chi si oppone all’incenerimento. *Rifondazione Comunista - Circolo Perugia Nord Condividi