cristofani.jpg
Di Daniele Bovi Il coniglio da tirare fuori dal cappello non c’è, non esiste la bacchetta magica per risolvere i problemi del Trasimeno. Questa mattina la sala della Biblioteca del palazzo della Provincia è stata la sede dove la prima commissione consiliare provinciale ha ascoltato l’assessore provinciale all’Ambiente Sauro Cristofani e alcuni tecnici. Il tema, caldissimo, è stato quello della situazione del lago Trasimeno, sviscerato lungo le due ore abbondanti dell’audizione aperta anche alla stampa. Cristofani mette subito le carte in tavola nella sua breve relazione introduttiva. Pochi punti sui quali dibattere. Primo, il legame “indissolubile” che esiste tra la sopravvivenza stessa del lago e il livello delle precipitazioni. Secondo, i risultati raggiunti riguardo la modificazione dei modi di fare agricoltura e livello degli attingimenti. Terzo, l’otturazione di alcuni fossi. Quarto, le politiche in materia di grandi opere, sottinteso l’invaso di Montedoglio. A proposito di quest’opera, attesa da tempi biblici e sulla cui mancata realizzazione pesa ora anche la recente indagine della magistratura (che è andata a colpire proprio una delle imprese incaricate), Cristofani è chiaro: “Montedoglio non è la soluzione”. L’assessore poi si toglie qualche sassolino dalla scarpa in merito alle polemiche agostane comparse sulla stampa a proposito del lago: “Queste polemiche e questo allarmismo non hanno fatto bene a tutto il sistema. Certi soggetti, e penso agli operatori del turismo e ai turisti stessi, hanno bisogno di messaggi di incoraggiamento, specialmente in periodi delicati dell’anno come è quello di agosto”. La parola passa poi all’ingegner Carlo Alberto Brunori (Direttore Area Ambiente e Territorio). Un intervento incentrato sulla storia del lago e durante il quale è stato proiettato un video proveniente dalle teche Rai. Siamo nel 1958, quello prodotto dalla tv pubblica è un reportage su uno dei periodi più bui della storia del lago, quello della fine degli anni Cinquanta. Il titolo è eloquente: “Il lago malato”. Allora la situazione era drammatica: meno 264 centimetri rispetto allo zero idrometrico, pescatori che non pescavano, pesci che morivano a frotte, campi coltivati e rimesse per galline là dove un tempo c’erano attracchi per le barche. Il lago sembrava destinato al prosciugamento. Era, questa, una delle “ipotesi” in ballo per risolvere la situazione, finché non prevalse il progetto di immissione di alcuni torrenti e canali (Rigo Maggiore, Tresa, Moiano e Maranzano) che portarono ad un ampliamento del bacino imbrifero di circa 75 chilometri quadrati (il bacino imbrifero non è altro che la porzione di territorio che convoglia, attraverso i corsi d'acqua, le acque meteoriche ad un determinato corpo d'acqua). Il lago da quel periodo drammatico si è ripreso, grazie a quegli interventi e grazie anche all’apporto decisivo delle piogge. Che piaccia o no infatti, e questa non è un’opinione ma un dato statistico facilmente leggibile in molti grafici, l’interconnessione che esiste tra caduta delle piogge e “salute” del lago è innegabile. Così come è innegabile che a contribuire al miglioramento della situazione generale sia stata la diminuzione degli attingimenti. I dati diffusi stamattina parlano chiaro: dal 2000 al 2007 sono passati da quasi sei milioni di metri cubi a neanche un milione. Smpre in tema di milioni, ma questa volta di euro, gli investimenti fatti in numerosi ambiti dal 1982 al 2006 sono ammontati a 13 milioni di euro. I soldi sono stati spesi, ad esempio, per i pontili, per la manutenzione delle opere idrauliche, per il ripristino ambientale del canneto, per l’acquisto di mezzi tecnici e così via. Interessante è stata poi l’audizione del professor Walter Dragoni, ordinario di Idrogeologia al Dipartimento di Scienze della Terra dell'Università di Perugia. Dopo aver cercato di far notare “piaccia o no” la correlazione statistica tra livello del lago e precipitazioni, l’intervento del professore si è poi concentrato sulle due opre principali pensate per ridare linfa al lago, ovvero quelle di Montedoglio e Chiascio. In sintesi, anche lì l’acqua scarseggia, il lato destro della diga del Chiascio ha subito numerosi danni e in molti non sono pronti a scommettere sulla sua futura affidabilità. L’acqua, non molta, che dovrebbe confluire nel lago, non basta e ci sono dubbi sul fatto che ci sia a sufficienza. “Attenzione – ha detto il professore – a vendere la pelle di un orso che non c’è”. Un’audizione che ha tentato sì di fare il punto della situazione, ma dalla quale non sembrano essere emersi scenari solidi per il futuro. Insomma, come si diceva all’inizio, il coniglio da tirare fuori dal cappello non c’è. Ora, però, bisogna vedere anche se esiste, un cappello. Condividi