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Lei ama la vita, dice. E il cinema, la poesia, il cielo sopra Palermo. A pensarci bene lei ama tutto. No, non solo amare: „adoro“ dice lei. Che in italiano significa più di amare. Amore, adorazione, dedizione tutto in una parola. Non si può fare altro che guardarla stupiti, quando dice “adoro” questa 73enne dagli occhi caldi dentro le occhiaie, dalle gonne vivaci e con l’eterna sigaretta in mano: Letizia Battaglia. Letizia Battaglia è diventata famosa con i morti, quelli che ha fotografato. Morti di mafia, appena assassinati sulle strade della Sicilia, nelle loro pozze di sangue o nelle guance perforate dai proiettili. A testa in giù, cadaveri distesi sui marciapiedi, si potrebbero scambiare per barboni caduti a terra ubriachi. Sulla schiena scoperta il tatuaggio di Cristo, vicino una macchia rossa. Le immagini hanno girato il mondo. A lei, Letizia Battaglia, lo scorso anno è stato conferito il premio per la fotografia Erich-Salomon. Ora ha intenzione di allestire una piccola mostra nella Willy-Brand-Haus, a Berlino, 78 foto, uno spaccato della sua opera complessiva “In lotta contro la mafia”. Lì si vede il giudice Cesare Terranova ancora rannicchiato al posto di guida, la testa premuta contro il petto, la pancia chiazzata dai fori. Un giovane, avrà avuto 19, 20 anni, il viso d’angelo rivolto al cielo giace supino in mezzo alla piazza. I curiosi intorno fissano il corpo senza vita e ancora caldo, come predestinato. Il fato è in Sicilia l’unico vero Dio e la mafia, che fa i morti, da tempo è considerata come il volere di Dio. Come se facesse parte del ciclo del mondo. Questo specifico ciclo dell’isola Letizia Battaglia l’ha imparato a conoscere da bambina. Nel 1935 nacque a Palermo e la sua vita si svolse all’inizio come quella della maggior parte delle donne siciliane della sua generazione. Dopo la scuole venne rinchiusa dal padre dentro casa. Più tardi fu il marito, che sposò a 16 anni, a tenerla prigioniera in casa. All’età di 37 anni la rottura: scappò a Milano. Per poter sopravvivere insieme alle sue tre figlie, iniziò a scrivere per il giornale “L’Ora”. Dal momento che la redazione richiedeva delle foto per i suoi articoli divenne fotografa. Nel 1974 tornò a Palermo con il suo collega e compagno Franco Zecchin come fotoreporter. In Sicilia allora erano esplose guerre di mafia, in cui i clan si contendevano il predominio su tutta l’organizzazione. A Palermo si viveva come in una guerra civile, i morti giacevano quotidianamente sulle strade. Letiza Battaglia prese l’abitudine di ascoltare le frequenze della polizia per poter essere subito sul posto della sparatoria. In questo modo scaturirono 600.000 foto in bianco e nero, il suo “archivio del sangue”, come lo chiama lei. Preferirebbe distruggerlo, dice. Per poter spegnere l’odore del sangue, il lamento delle donne, il pianto dei bambini, tutto quello che sale alla memoria quando guarda le foto. Lo sogna spesso: bruciare le immagini in spiaggia. In un corto, che verrà presentato alla Willy-Brand-Haus, al suo posto un’attrice brucia le foto. Un esorcismo fittizio. L’archivio deve continuare ad esistere dice Letizia Battaglia, in modo che a tutti venga ricordato cosa è la mafia. Ora il polipo ha ritoccato la faccia, ha concluso un patto con la politica: non deve spargere più sangue. “Gli italiani si sono innamorati di Berlusconi e la mafia ha messo la cravatta, conquistato i mercati. E’ diventata un’impresa, va all’università, lava il denaro in Germania e in Francia. Ma è sempre la stessa mafia.” Letizia Battaglia non ha peli sulla lingua. Non solo come fotografa, ma anche da consigliera comunale sotto Leoluca Orlando, da deputata del partito antimafia La rete, da editrice delle “Edizioni della Battaglia” si è sempre impegnata per far scomparire la mafia dalla faccia della terra. E ora? Ora regna obbedienza silenziosa, la mafia ha in mano tutto. In Italia nessuno parla di Letizia Battaglia. Nessun giornale le conferisce più incarichi, nessuna casa editrice pubblica le sue foto, è uscita addirittura un’antologia storica su fotografe italiane che non riporta il suo nome. Colei che è famosa nel mondo in Italia viene considerata persona non grata. “A gli italiani do fastidio” dice lei “perché ho fotografato la mafia”. La mafia, com’ è. Ma anche la Sicilia, com’ è. Senza compromessi l’opera di Battaglia illumina i nessi tra mafia, miserie sociali e politica. Le foto che ora sono esposte a Berlino si possono leggere come un lungo racconto, sul come tutte le cose dell’isola siano connesse fra loro; mafia ed elite corrotte, mafia, ignoranza e una religione scaduta nel feticismo. Lì si vedono i cadaveri dei giudici antimafia e di pubblici ministeri, di mafiosi e reclutati dalla mafia che non hanno nemmeno raggiunto la maggiore età. Là gli squallidi quartieri della Sicilia. Volti di ragazzi e ragazze nei cui occhi neri come la pece sembra essere maturata l’esperienza di vita di un ottantenne. Bambini di otto, nove anni che maneggiano armi da fuoco come se fossero pistole giocattolo. Durante la festa di Santa Rosalia un’anziana, con le ginocchia ferite, si intrufola per raggiungere, su a carponi, l’immagine sacra. Nella penombra di stanze fiacche giacciono corpi di donne nude, sensuali e belle, indeboliti dalla fame, del pudore dalla fame liberati. Nei vicoli le donne in lutto portano il velo. Al contempo nei lussuosi palazzi di Palermo, là dove i vecchi nobili, l’artistocrazia dei soldi e i nuovi ricchi celebrano le feste sfarzose della mafia, pietre preziose decorano i capelli di bellezze dagli scolli generosi. E quando la classe dirigente politica italiana passeggia, mano nella mano, con la mafia diventa subito comprensibile la smorfia seccata dei boss Luciano Liggio e Leoluca Bagarella durante il loro arresto. In Sicilia tutto ha due facce. Quando nel 1985 Leoluca Orlando venne eletto sindaco di Palermo si è potuto sognare, dice Letizia Battaglia, che un giorno questa immagine sarebbe cambiata. Anche se la mafia fa ancora vittime. Ma allora si era formato un movimento antimafia, la politica di Orlando incoraggiava la resistenza, si parlò di “primavera di Palermo”. All’improvviso i siciliani osavano ribellarsi al “ciclo del mondo” o quello che nel sud Italia viene scambiato per tale. E le donne lottavano in prima linea. Acqua passata. “Oggi veniamo amministrati da persone che sono alleate della mafia” dichiara la fotografa. Ora ha lasciato andare ogni speranza. Nei suoi occhi caldi c’è una malinconia nervosa. La protesta ci si continua ad infiammare. Letizia Battaglia vive nel frattempo di nuovo a Palermo, quasi isolata. Si era trasferita a Parigi, dove per un anno e mezzo ha lavorato molto, circondata da amici. Ma non ha resistito. Non sopporta a lungo, dice lei, vivere a grande distanza dal cielo di Palermo. Prima o tardi le verrebbero i complessi di colpa, come se fosse suo preciso compito difendere la città dai demoni. La mostra “Letizia Battaglia. In lotta contro la mafia”: fino al 22. giugno nella berlinese Willy-Brandt-Haus. Articolo originale di Aureliana Sorrento, apparso il 15 giugno sul Frankfurter Rundschau Condividi