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Un fondamentale studio realizzato nel 2003 dalla Fondazione BNC in collaborazione con il CEN.S.I.S. nell'ambito del programma «Cultura dello sviluppo e cultura della legalità nel Mezzogiorno», ha stimato l’entità della mancata crescita del valore aggiunto delle imprese meridionali causata dalla presenza pervasiva della criminalità organizzata. Il «tasso di zavorramento mafioso annuo» produce effetti considerevoli poiché, se non avesse avuto modo di incidere negativamente sull'andamento della produzione, il PIL pro-capite del Mezzogiorno (nel periodo oggetto dell’analisi) avrebbe raggiunto quello del Nord. Un diffuso senso di paura spinge quasi il 70% degli imprenditori intervistati ad affermare che l'imprenditore subisce nel Mezzogiorno troppi condizionamenti esterni, tanto da non sentirsi completamente libero nelle proprie decisioni; e questo clima esasperato spinge il 25% a denunciare un’eccessiva difficoltà a “continuare la propria attività”. Il 65% degli intervistati ha rilevato la presenza di atti di taglieggiamento nella propria zona e per il 14% questo tipo di attività risulta anche molto diffuso; per il 70% l'usura è largamente praticata; per il 26% le organizzazioni criminali impongono la loro manodopera alle imprese; per il 26% vi sono imprese costrette a ricorrere solo ai fornitori imposti dalle organizzazioni criminali; il 63,9% rileva la nascita improvvisa di grandi imprese capaci di spiazzare letteralmente (operando con prezzi molto contenuti) le aziende concorrenti, specie quelle di piccole dimensioni; per il 67% degli imprenditori contattati non sempre le assegnazioni degli appalti pubblici sono chiare e trasparenti. Più di recente, l’ultimo rapporto di SOS Impresa relativo all’anno 2008 stima che la “mafia spa” avrebbe un fatturato complessivo di circa 130 miliardi di euro ed un utile che sfiora i 70 miliardi. Nove miliardi vengono dal racket. Dieci anni prima erano 8.000 miliardi di lire. Ed oggi sarebbero 160.000 i commercianti colpiti. Anche in Umbria l’allarme derivante da possibili fenomeni di infiltrazione mafiosa nell’economia –ed, in particolare, nella realizzazione di appalti pubblici- è stato fortemente avvertito da istituzioni ed operatori, tanto che, nel corso della precedente legislatura, è stata nominata, su proposta di Rifondazione comunista, dal Consiglio regionale una specifica Commissione di inchiesta sul fenomeno delle infiltrazioni criminali in Umbria. Occorre ricordare che il contrasto ai tentativi di infiltrazione mafiosa negli appalti pubblici, basato sul sistema delle certificazioni, comunicazioni e informazioni antimafia, si fonda sui principi statuiti dal decreto legislativo 8 agosto 1994, n. 490 e dal successivo decreto del Presidente della Repubblica 3 giugno 1998, n. 252. A ciò va aggiunto anche il disposto di cui all'art. 1-septies del decreto legge 6 settembre 1982, n. 629, convertito dalla legge 12 ottobre 1982, n. 726, secondo cui il prefetto può comunicare alle autorità competenti elementi di fatto ed altre indicazioni utili ai fini dell'esercizio delle relative attribuzioni di carattere autorizzatorio: quest’ultima tipologia di informative deve, tuttavia, essere oggetto di una specifica e motivata valutazione circa l’esistenza di un inquinamento mafioso da parte di ciascuna stazione appaltante, con conseguenze difficoltà operative e possibili rischi di illegittimità. Anche le disposizioni contenute nel Dlgs. n. 490/1994 e nel D.P.R. n. 252/1998 hanno evidenziato, peraltro, lacune applicative da tempo poste in luce dagli operatori del settore (si pensi all’ampia fascia di esenzione dai controlli prevista dalla predetta normativa). In questo contesto, la recente Circolare del Ministero dell’Interno del 23 giugno 2010, n. 4610, avente ad oggetto i “Controlli antimafia preventivi nelle attività "a rischio" di infiltrazione da parte delle organizzazioni criminali”, oltre a prevedere un “Elenco delle attività imprenditoriali da sottoporre a verifica antimafia preventiva”, ha previsto anche un “Elenco delle clausole antimafia da inserire nei protocolli di legalità” nonché un “Elenco delle clausole antimafia da inserire nei protocolli di legalità e da riprodurre nella "lex specialis" dell'appalto”. La circolare introduce, tuttavia, nuovi ed importanti adempimenti senza prevedere l’indispensabile supporto alle stazioni appaltanti che, nell’attuale contesto ordinamentale, sono spesso prive delle risorse per poter far fronte all’attuazione dei nuovi obblighi (spesso, infatti, nel contesto umbro, le operano stazioni appaltanti di piccole o di piccolissime dimensioni). In questa luce, la previsione di un tavolo tematico all’interno del nuovo Patto per lo Sviluppo dell’Umbria annunciato dalla Presidente Marini può costituire un fondamentale strumento “volontario” per l’attuazione di una efficace politica di contrasto alla criminalità organizzata: il valore aggiunto derivante dalla previsione di un tavolo concertativo potrebbe infatti essere costituito dall’adesione e dall’assunzione spontanea di impegni volti all’efficace attuazione delle cautele antimafia da parte dei soggetti chiamati ad attuare tale specifica politica preventiva. In questo contesto l’obiettivo del tavolo tematico potrebbe essere quello di raccogliere le necessarie informazioni e, conseguentemente, di analizzare i possibili riflessi applicativi, al fine di definire un protocollo d’azione comune e condiviso, che sia autenticamente condiviso e si fondi sull’adesione degli operatori chiamati a dare concreta applicazione a tali strumenti. Dal canto proprio, la Regione potrebbe offrire, nel complesso contesto delle cautele antimafia, la necessaria assistenza e supporto ai fini dell’applicazione di tali nuovi strumenti. L’oggetto del tavolo tematico da inserire nel nuovo Patto per lo Sviluppo potrà quindi essere costituito da misure finalizzate a rendere realmente efficaci alcuni importanti controlli e cautele antimafia che -in assenza di una attività di compartecipazione e di adesione effettiva da parte dei soggetti che ne sono naturalmente destinatari- rischiano di rimanere privi di reale efficacia preventiva; supportare e rendere effettiva l’applicazione delle norme “antiracket” già previste dalla normativa nazionale e regionale in materia di affidamento di appalti pubblici; realizzare un’effettiva tracciabilità del credito derivante dall’appalto pubblico, anche mediante l’apertura di “conti dedicati”. In ogni caso, proprio il confronto con le stazioni appaltanti consentirebbe la definizione di nuove ed ulteriori strategie d’azione, anche con la profilazione di strumenti che, alla luce dell’esperienza degli operatori, potrebbero dare le maggiori garanzie di efficacia nel contrasto alle infiltrazioni criminali negli appalti pubblici. L’infiltrazione della criminalità organizzata nel tessuto produttivo dell’Umbria rischia di costituire un pesante freno per lo sviluppo economico: in questo senso, la presa di posizione e l’impegno diretto degli operatori del settore degli appalti pubblici può davvero rappresentare uno strumento fondamentale non solo nel contrasto alle infiltrazioni mafiose, ma anche quale fattore di crescita economica ed occupazionale. Condividi