del bonopippolagzen.jpg
di Isabella Rossi Un uomo e il suo corpo al centro della scena muovono memorie e liberano energie emotive legate ai “Racconti di giugno”, una biografia portata in scena da Pippo Delbono nello spettacolo di chiusura della stagione di prosa 2009/2010, venerdì scorso all’Auditorium San Domenico di Foligno. E' il grido, la voce come un bisturi capace di penetrare corpi, incidere coscienze e, da sola, rievocare il dolore sepolto, quasi soffocato nelle pieghe asfittiche della quotidianità. Una ritualità che si affianca alla narrazione e si rinnova in gesti ed espressioni apparentemente slegati dalla tradizione teatrale. Ma non mancano nemmeno gli elementi del teatro classico nella rappresentazione di Pippo Delbono. Solo che la loro funzione è altra. Dioniso è solo un’eco lontana dal fondo di una bottiglia di birra colmata di acqua minerale, mentre Eros se ne va presto, lasciando che Thanatos imperversi fino all’ultima pagina. Se il dolore diventa quasi filo conduttore dei tanti frammenti di vita narrata, il riscatto attende puntuale alla fine di ogni “notte oscura”. La rivincita è conquista di nuove mete della volontà, di una visione mistica rivelata ed immanente, dell’accettazione serena del male nella convinzione invincibile del bene. All’azione catartica sono il gesto e la voce a contribuire con un peso straordinario proprio quando, azzerando i linguaggi, scavano in stati emotivi cognitivamente assenti ma familiari ad ogni essere umano. La partecipazione risponde alla sollecitazione proveniente non tanto dalla straordinarietà della biografia artistica quanto dall’identificazione in una ricerca di libertà, percepita o inconsapevole ma sempre presente nell’essere umano. Condividi