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l punto di partenza è sempre ancora quello, come un cruccio (e un impegno) morale da cui non ci si libera: Anpalagan Ganeshu, il ragazzo cingalese finito in fondo al mare di Sicilia nel più grande naufragio di migranti del nostro tempo, il 26 dicembre 1996. Si ricorderà che quel nome riaffiorò dal silenzio e dall’oblio grazie alla carta d’identità plastificata, e perciò salva dalle acque, e che questa carta costituì la prima prova certa che quella catastrofe era avvenuta, a dispetto della cortina fumogena sparsa sulla vicenda dalla cattiva coscienza del governo e dalla complicità silente dei media. E’ uno strano destino: in questo caso abbiamo una carta d’identità – un papier– senza più la persona da identificare; più spesso abbiamo le persone, ma prive di carta – sans papiers em>– e perciò prive d’identità, di diritti, clandestini esposti a tutti i soprusi, come in un naufragio solo (per fortuna) metaforico in cui naufraga ogni umana dignità. Ed è per loro, per questi vivi e per questi morti, per questi fratelli (se sappiamo ancora pronunciare la parola fraternité), per compensarli almeno una volta della nostra indifferenza, che Human Beings em>è tornato sul luogo del delitto: sul naufragio “fantasma” di quel lontano Natale che già ispirò cinque anni dopo il fatto uno spettacolo straordinario (Dal Gorgo/segnali) dal quale sono qui ripresi in video alcuni frammenti memorabili, un’autocitazione che ricostruisce una memoria soggettiva, poetica, che è anche una memoria storica. Ma di quello spettacolo che ricordiamo intensissimo, compatto, fortemente coeso nella denuncia di una tragedia quasi indicibile – un oratorio laico di energica, ma anche commossa presa civile – si ampliano qui le prospettive polemiche che, come sempre nel teatro di Human Beingsem>, virano verso le forme più schiettamente comiche: in particolare nella satira senza ritegno del militarismo e della burocrazia, che raggiunge il suo apice di efficacia nella danza del “modulo da compilare”, vero e proprio strumento di tortura sublimato nei modi di una feroce, astratta eleganza. Rimane, centrale nella struttura dello spettacolo, la presenza benevola del clown-maestro di cerimonie, che apparecchia lungamente un rituale dapprima giocoso e poi tragico, fatto di rimandi allusivi prima divertiti e poi sempre più ossessivi e angosciosi al tema dominante del naufragio (sia pure ridotto alla sineddoche familiare di un acquario), che si conclude nell’immagine indimenticabile della valigia che perde acqua, come un corpo ferito che sanguina. Quasi a suggerire che solo attraverso un linguaggio simbolico (poetico) la tragedia può essere “detta”, aldilà e assai più in profondo di qualsiasi intento polemico. Ed è così anche nel finale, enigmatico e di forte coinvolgimento emotivo, quando – mentre sullo sfondo nero, notturno, una voce ripete i versi di E n z e n s b e r g e r (“Tutti questi annegati, questi assiderati…”) - in primo piano, quasi a ridosso degli spettatori e in piena luce, un uomo e una donna, due naufraghi della vita, si scambiano di bocca in bocca delle gocce d’acqua: acqua finalmente non più come segno di distruzione, di perdimento, ma come segno di vita che riprende; e i due si allontanano, figure chapliniane, restituendo una fiducia nella possibilità di salvezza dell’amore. In cos’altro, se no? Papiers - gioco scenico di varia umanità del Laboratorio teatrale interculturale Human Beings diretto da Danilo Cremonte è stato rappresentato anche in alcune significative occasioni: l’Assemblea dell’ONU dei Popoli, la Giornata della Memoria e la Giornata di Azione Globale indetta dal Forum Sociale Mondiale. tratto da http://www.micropolis-segnocritico.it Condividi