Oggi, in diverse città d’Italia, si tengono manifestazioni di adesione allo sciopero generale studentesco, indetto a livello nazionale dalla rete “Link-coordinamento universitario”, contro l’approvazione del disegno di legge di riforma della governance universitaria. Intanto il Coordinamento dei precari, che aderisce a quest’iniziativa, ha indetto una giornata di mobilitazione con manifestazione nazionale per l’11 dicembre, esortando i sindacati a proclamare una giornata di sciopero generale di tutto il comparto della conoscenza.
La legge 133 del 2008 aveva già apportato tagli per 1,4 miliardi di euro ai finanziamenti alle università, prevedendo inoltre la possibilità per gli Atenei di trasformarsi in fondazioni di diritto privato. L’attuale disegno di legge, se approvato in parlamento, renderebbe irreversibile il processo di smantellamento del sistema universitario pubblico italiano.
Il ddl, infatti, introduce dei provvedimenti che delineano un nuovo modello organizzativo centralistico e fortemente gerarchico dell’università, cui costringono gli atenei ad adeguarsi entro 9 mesi dall’approvazione della legge, pena il commissariamento. Gli organi elettivi (Senato accademico, Consigli di facoltà) vengono autoritariamente depauperati delle loro attuali prerogative e sottoposti alla supervisione dei Consigli d’amministrazione, in barba al principio dell’autonomia universitaria. Il Senato accademico potrà soltanto formulare proposte o pareri in materia di ricerca e di didattica, ma sarà destituito da ogni potere decisionale. Questo verrà totalmente acquisito dal Consiglio di amministrazione, che sarà composto per il 40% da membri esterni, di natura pubblica o privata, e che potrà deliberare su scelte didattiche basilari (per esempio la creazione o la soppressione dei corsi di laurea) senza che niente e nessuno possa impedire che tali scelte siano subordinate al mero interesse economico di aziende private.
La retorica della valutazione e della meritocrazia funge da pretesto per introdurre una forte spinta competitiva tra atenei che si contenderanno le sempre più esigue risorse che lo Stato destinerà all’istruzione universitaria. Il diritto allo studio, dunque, si configurerà come fruibile solo da parte di chi sarà dichiarato meritevole di esercitarlo, indipendentemente dal reddito e dalle sue condizioni sociali. Il Fondo Speciale per il Merito, appositamente creato, verrà assegnato attraverso prove nazionali standardizzate, a pagamento. La gestione di questo fondo, però, verrà affidata a una società per azioni (tanto per rimanere nel filone aziendalistico) che si occuperà di somministrare i test nazionali, di determinare le somme da erogare agli atenei, di definire i criteri di accesso al finanziamento, e così via. Inoltre, il fondo non sarà alimentato esclusivamente (e probabilmente sempre meno) con risorse pubbliche, ma anche (e con ogni probabilità sempre più) con contribuiti di istituti finanziari privati, i quali potranno vincolare i propri finanziamenti a beneficio di studenti che seguono specifici indirizzi o attività di ricerca e di studio, penalizzando così coloro che seguono corsi di laurea non immediatamente legati alla produzione e al mercato.
Dulcis in fundo, il prestito d’onore. Ciò che è considerato un diritto che le istituzioni devono garantire, diviene un debito nei confronti delle istituzioni. Borse di studio, servizi abitativi e di ristorazione si trasformano in un prestito contratto con lo Stato e con le banche da restituire in comode rate nel corso della propria vita da precario. Si assiste anche qui al rovesciamento che ha trasformato il modello pubblico e solidaristico in un modello competitivo e burocratico e che ha annullato il principio di uguaglianza sostanziale dell’art. 3 della Costituzione in favore di un sistema basato sul censo.
Sul fronte del reclutamento del personale accademico, viene cancellata la figura del ricercatore a tempo indeterminato e istituito un contratto di 6 anni (3+3) al termine del quale il ricercatore ritenuto idoneo sarà confermato a tempo indeterminato come associato, mentre quello che non supererà la prova, con sua buona pace terminerà definitivamente il rapporto con l’Università. Per quanto riguarda invece il reclutamento di nuovi docenti, nonostante l’istituzione dell’abilitazione scientifica nazionale che dovrebbe garantire un minimo di oggettività, la decisione finale spetta sempre agli ordinari locali, continuando a rafforzare il potere baronale ormai endemico negli atenei italiani.
In tutta Italia, dunque, il movimento degli studenti (sostenuto dai coordinamenti degli insegnanti e dei precari della scuola) scende in piazza per impedire l’approvazione di questo disegno di legge, per ribadire il proprio no ai tagli alla scuola e all’università e per rilanciare la partecipazione attiva di studenti, ricercatori e docenti ai processi decisionali. Rifondazione è accanto a loro, in mezzo a loro. Perché è necessario battersi affinché vi sia un sistema di welfare che permetta a tutti di accedere ai canali del sapere, perché sulle politiche della conoscenza e sul diritto allo studio si investa veramente e perché il precariato non continui ad essere l’unico modo di concepire il lavoro e la precarietà l’unico modo di concepire la propria esistenza.
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