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Ribadisce il suo appoggio a Pierluigi Bersani e difende orgogliosamente il Pd dagli attacchi di Beppe Grillo e "dall'opa ostile" di Antonio Di Pietro. Con una postilla, però: "Se falliamo il congresso di ottobre per il Pd è finita", avverte Enrico Letta dalle colonne del settimanale 'Tempi', in un'intervista che comparirà nell'edizione in edicola giovedì 23 luglio. Sulla prospettiva politica del Pd che uscirà dal congresso, Letta esclude l'ipotesi, caldeggiata da Giuliano Ferrara e condivisa anche a sinistra, per esempio da Piero Sansonetti, di un Pd in chiave bipartitica, collettore di tutte le forze dell'opposizione: "Penso che vada bene il sistema attuale, dove concorrono due poli, rappresentati al loro interno da diverse articolazioni. Non credo a un sistema di bipartitismo all'americana. Dico no al caravanserraglio delle alleanze con quindici partiti, come abbiamo purtroppo rappresentato nella scorsa legislatura, ma no anche allo schema del duopolio. Non a caso sono favorevole al sistema elettorale alla tedesca". Letta aveva chiesto a Bersani di abbandonare la socialdemocrazia e di rinnovare l'establishment in cambio del suo sostegno. E il suo discorso di da candidato segretario lo ha pienamente convinto: "Bersani è un leader non arrogante, competente, capace di assumersi responsabilità rispetto a una politica che è stata ai margini della tavola, se non addirittura sotto la tavola. Bersani è la persona giusta per la sintesi che dobbiamo fare per cogliere quest'ultima opportunità. Insisto su questo punto: il congresso non sarà un appuntamento come un altro. Non si può più giocare. E' l'ultima chance. In questo senso, ripeto, essendo l'ultima opportunità, ho voluto giocarla in una logica di aggregazione, ed ecco il motivo per cui non mi sono candidato, perché questo non è il momento dell'estetica, ma della sostanza". I pilastri di questo Pd di sostanza? La metafora lettiana rinvia agli indici delle agenzie di rating: "Urge un partito da tripla A. Dev'essere autorevole, che è la questione principale. Dev'essere ambizioso, puntando decisamente a tornare al governo. Dev'essere un partito delle autonomie, cioé non centralista. Per dirla tutta, il finanziamento pubblico non deve fermarsi a Roma ma deve essere per metà distribuito sul territorio, nelle sezioni". Quanto alle critiche di Beppe Grillo, Letta respinge con fermezza le polemiche del comico all'indirizzo della leadership dei democratici: "Non vogliamo essere un punching ball. Non vogliamo essere un luogo talmente privo di autorevolezza che qualunque Beppe Grillo può permettersi di passeggiarci sopra e di insultarci come ha fatto in questi giorni. Siamo un partito che deve riconquistare autorevolezza e credibilità. Il congresso deve servire a questo e gli altri devono avere rispetto nei nostri confronti". Quanto ad Antonio Di Pietro, Letta si dice "certo che Di Pietro ha lanciato un'opa ostile al Pd. D'altronde, come abbiamo visto durante il corso di tutto quest'anno, Di Pietro prospera sulle nostre disgrazie. Perciò, più disgraziati siamo, più sembra che si accrescano le sue fortune. Ecco perché noi dobbiamo preoccuparci della nostra forza e della nostra crescita, della nostra dimensione e della sostanza di ciò che dobbiamo essere. E che, ahimé, fin qui non siamo stati". Infine, Letta apre sulle riforme della giustizia, a proposito delle quali dice: "Vanno fatte, soprattutto per rendere la giustizia più rapida, efficace, efficiente, a misura delle esigenze dei cittadini. Cosa che oggi non è. Chiaro che questo clima di scontro frontale non aiuta. Per questo penso che anche a questo riguardo Bersani può fare la differenza rispetto a quanti sembrano interessati a mantenere la scena politica infuocata dallo scontro sulla giustizia. Mi auguro però che anche dall'altra parte, e mi riferisco evidentemente a Silvio Berlusconi, cessino certi toni da battaglia campale". Condividi