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Carmine Calvese A.A.A: Cercasi disperatamente a sinistra classe dirigente e linea politica. Il PD è un partito, ammesso che tale possa essere considerato, letteralmente allo sbaraglio.. La staffetta Veltroni-Franceschini, tolti i botti iniziali, non ha sortito alcun effetto, anzi, se è possibile ha aggiunto contraddizioni a contraddizioni. Negli ultimi giorni assistiamo alla messa in scena di un vera e propria dialettica hegeliana: Franceschini dice “No all’espulsioni degli immigrati” (tesi), Rutelli risponde “Si, i migranti irregolari vanno espulsi” (antitesi), D’Alema, Bersani, Finocchiaro, Parisi & CO pensano in (sintesi) “ I conti li facciamo dopo le elezioni al congresso di ottobre”. Siamo di fronte ad una farsa. Siamo, è il caso di dire, alle comiche finali, ma in questo caso, purtroppo, se continuerà così, ad essere seppelliti da una risata saremo noi. Il PD è una sorta di contenitore dove si trova di tutto e il contrario di tutto, dal gay dichiarato (Relacci) all’estremista cattolico (Binetti e non solo), dal liberista allo statalista, dall’ex DC, all’ex PCI, all’ex PSI, all’ex Pri, etc. Nel PD queste contraddizioni non sono state mai affrontate, ma sono sempre state semplicemente accantonate. Il PD è un partito nato da un fusione a freddo, senza valori condivisi, senza passato comune, un partito senza statuto o meglio senza manifesto di valori fondativi. Il PD è la testimonianza concreta che la politica non è una semplice sommatoria, di numeri, di voti e di tanto altro ancora. Si è voluto velocizzare un percorso, buttandosi a testa bassa verso l’ignoto. Si è buttata via l’esperienza, seppur singhiozzate, del governo Prodi, ove il “de profundis” fu celebrato in terra umbra quando, ad approvazione della finanziaria in corso, il grande politologo Walter Veltroni solennemente dichiarò «mai più con la sinistra radicale e con gli altri “non allineati” ». Si è scelto deliberatamente di “massacrare” la sinistra radicale, con il tanto sbandierato voto utile. Si è scelto deliberatamente(!?!) di salvare, con un apparentamento suicida, il populismo spicciolo-destroide di Tonino di Pietro, il quale oltre ad aver sbeffeggiato gli accordi presi (gruppo unico per Camera e Senato), continua a corrodere voti al centro e, purtroppo, anche a sinistra. A questi fallimenti, ci saremmo aspettati al meno un accenno di “mea culpa”, e invece no! Si continua sulla falsa riga tracciata dal tandem Bettini-Veltroni, e cioè continuiamo a farci del male e lasciamo il Paese in mano a Berlusconi e i suoi ram-polli per almeno altri 30 anni. Si decide, così, di continuare ad appoggiare un referendum kamikaze, quello voluto dal signor Mario Segni sul sistema elettorale che premia “solo” il partito maggioritario, il PDL di Silvio il latin lover appunto. In un clima del genere, ci si sarebbe aspettato che gli altri, i ”sinistri extraparlamentari”, si auto-organizzassero nel miglior modo possibile dopo la scoppola elettorale della “primavera” scorsa. Invece, anche in questo caso, NIET. Si va avanti, così, con disinvoltura ”istituzionale”, tentando di attaccarsi a poltrone che oramai sono svanite. Si addossa così ad altri (Veltroni) le ragioni della sconfitta, senza fermarsi, almeno per un attimo, ad analizzare i propri errori. Si fa finta di non vedere gli oltre due milioni e mezzo di voti letteralmente evaporati negli anni che vanno dal 2006 al 2008. Ci si dimentica così che, in batter di ciglia, una pattuglia di 160 deputati/senatori, si è trasformata in uno sparuto gruppo di “black bloc arcobalenoidi”. Non si analizzano i tradimenti perpetrati ai danni dei movimenti, di cui pure si faceva pare, ai quali era stato “estorto” il voto con le promesse. Ci si dimentica così delle delusioni inflitte nel nome della governabilità ai pacifisti, ai NO TAV, ai NO Dal Molin, ai precari, ai disoccupati, agli operai, etc., etc. Il “fu gruppo dirigente” per niente scottato è andato avanti a tabur battente. Si è passati dalle tesi congressuali, che enunciavano il non scioglimento del PRC, alle scissioni “verticistiche” nel nome di una non meglio definita “unità a sinistra”; i controsensi della polica: dico di unire, ma intanto divido. Un tempo non troppo remoto, un “famoso”stratega politico” enunciava l’esistenza in Italia di due sinistre: una riformista di stampo socialdemocratico, rappresentata dai DS, e un’altra radicale, comunista e anti-capitalista. Oggi queste due sinistre che fine hanno fatto? La risposta non la può dare un semplice percentuale o una fredda analisi dei flussi elettorali. La risposta è più articolata. Bisogna analizzare la società nel suo insieme partendo da due semplici domande: Esiste ancora in Italia un popolo di sinistra? E se la risposta è si, esiste ancora un partito in grado di rappresentare questo popolo? Sulla prima la risposta è semplice, in Italia esiste una sinistra di massa più o meno diffusa, che continua a riconoscersi nei movimenti di lotta e non nei partiti, e che quando chiamata a riempire le piazze risponde sempre presente. Sulla seconda, la risposta la dovranno dare le attuali e le future classi dirigenti. Più precisamente, chi si candida a rappresentare questa massa “non potrà e non dovrà tradire di nuovo le aspettative ed il mandato assegnatogli”, ed ancora, chi si candida a rappresentare questa sinistra dovrà essere in grado di far dire a questa gente, «io sto con voi e vi voto perché “voi”siete diversi, io sto con “voi” e vi voto perché “voi” siete migliori degli altri». Condividi