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Cesare Salvi, leader di Socialismo 2000, ex componente del Pds-Ds, poi transitata in Sinistra democratica. In seguito la rottura con Fabio Mussi e l’approdo nell’Alleanza elettorale con Rifondazione e Pdci. Che ci fa un socialista come lei sotto la falce e martello? “La falce e martello è stata per più di un secolo il simbolo dei lavoratori, non solo nel Pci ma anche nel Psi. Fu Bettino Craxi a toglierla. Credo che riproporla in un momento come questo ci permette di riallacciarci a una grande storia. Inoltre credo che molti aspetti dell’analisi classica marxiana si confermino ancora validi: la globalizzazione ha creato un esercito industriale di riserva e ha peggiorato nella distribuzione della ricchezza il rapporto tra profitti e salari”. Come in Sinistra democratica, voi siete socialisti. Anche voi volete l’unità della sinistra. Perché allora non avete aderito a Sinistra e libertà? “In primis per questo: crediamo che l’unità della sinistra non possa trovare origine dalla divisione dei soggetti politici esistenti. In secondo luogo non vedo un’effettiva autonomia di Sd rispetto al Pd: la prova l’abbiamo avuta in queste elezioni, analizzando il modo nel quale si formano le coalizioni per le amministrative. Non sono per rompere ogni rapporto con i democratici. Ma in certe realtà allearsi col Pd è un errore. Lo è dove è aperta una questione morale, come a Napoli e in Calabria. Lo è dove il Pd si caratterizza oltre misura per le scelte moderate, come a Milano e Firenze. La sinistra, al contrario, deve manifestare la sua autonomia, altrimenti saremo condannati alla subalternità”. Nel documento di programma di Socialismo 2000 voi scrivete: «La critica dell’ideologia è ideologica. Ha nascosto l’operazione egemonica dell’establishment conservatore americano ed europeo, che è stata causa della crisi della sinistra dentro la quale siamo precipitati». Crede che anche un parte della sinistra “radicale” italiana sia caduta in questo tranello? “È un processo mondiale, che in Italia ha assunto caratteri molto accentuati. L’idea di fondo è la cancellazione dell’identità del ‘900, strada perseguita in modo acclarato nel Pd. Ma anche nell’altra sinistra c’è chi ha ritenuto il superamento delle identità a favore di un generico “essere di sinistra”‚ uno strumento per il rinnovamento della politica. È questa una scelta che io ho contestato sin dall’inizio”. A vent’anni dalla Bolognina, che segnò la fine del Pci, quali propositi di allora si sono avverati e quali si sono tramutati in altro? “Per molti l’obiettivo non era un’abiura. Allora la frase «non sono mai stato comunista» non si sarebbe potuta pronunciare. L’idea era un’altra: volevamo ricollocare la sinistra nel terreno del socialismo, senza rompere con la sua storia. Le cose, purtroppo, non sono andate così. In parte perché l’iniziativa di Occhetto si caratterizzava eccessivamente per la discontinuità. In parte per il prevalere di una scelta moderata, secondo la quale l’ondata liberista era irrefrenabile. Socialismo 2000 è nata per questo. Su due presupposti: dare al mondo del lavoro un’autonoma rappresentanza politica e indicare l’obiettivo di un cambiamento profondo, e in prospettiva di un superamento del capitalismo. Posizione che si è rivelata impraticabile all’interno dei Ds quando si decise di sciogliersi nel Pd”. Siete socialisti ma non aderite al Pse. Avete scelto la Sinistra europea. Per quale motivo? “La sinistra europea nel suo statuto si richiama alle tradizioni socialiste, comuniste e del lavoro. Questo incontro, la cui espressione di maggior successo è la Linke tedesca, è per noi un progetto da perseguire anche in Italia. Ma senza rinunciare alle rispettive identità, scelta che spesso è prodromo di uno slittamento moderato”. Condividi