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di Isabella Rossi La Sala d’onore a Palazzo Donini di Perugia era affollatissima ieri mattina. In netta maggioranza le donne. Quelle impegnate nella quotidiana battaglia per il rispetto dei diritti civili di tutti, come ha sottolineato Maria Rita Lorenzetti, presidente della Regione Umbria.Non solo donne per le donne, dunque, ma donne per il sociale, spesso su base volontaria, provenienti da un numero cospicuo di associazioni e organizzazioni informali. Sono stati i numeri, che assomigliano ogni giorno di più ad un bollettino di guerra, a richiedere una maggiore concentrazione sul fenomeno della violenza domestica. I numeri della violenza in Umbria Secondo l’Istat (dati aggiornati al 2006) in Umbria il 28,6 per cento delle donne di età compresa tra i 16 e 70 anni ha subito nel corso della propria vita violenza fisica o sessuale. Tra il 2003 e il 2008 il servizio Telefono Donna del Centro Pari Opportunità della Regione ha accolto 1544 richieste di sostegno, di cui il 67,8 per cento legato a violenza e maltrattamento, sempre nello stesso periodo il Centro Pari Opportunità ha tenuto 2861 colloqui di accoglienza per l’uscita dalla violenza. L’analisi dei dati realizzata dal Centro per il periodo 2003-2007 ci dice che l’87,6 per cento delle violenze è avvenuto nell’ambito della famiglia. Resistere, meglio ancora: "tigna!" Cifre allarmanti che a volte generano scetticismo. Ma chi sta sul campo sa bene che si tratta solo della punta dell’iceberg. I numeri riguardanti le violenze non denunciate rappresentano ancora il dato più eclatante in Umbria e in Italia. Ora la parola d’ordine, ha sottolineato Maria Rita Lorenzetti, è solo una: “resistere”. Che si traduce ancora meglio con “tigna”, ha chiosato la presidente, termine dialettale che esprime al meglio il concetto di “resistenza attiva e combattiva”. Mai più violenze, Mille Azioni e Interventi Per Impedire Ulteriori violenze E le donne, dell’associazionismo umbro e delle organizzazioni informali, infatti, non si sono arrese. E’ anche grazie a loro che le istituzioni umbre hanno riconosciuto la grave rilevanza di tale fenomeno entro i confini regionali e deciso di rinforzare le barricate contro la violenza domestica. Con Mai più violenze, Mille Azioni e Interventi Per Impedire Ulteriori violenze, un progetto partito dalla Regione Umbria con l’appoggio di Damiano Stufara, assessore regionale alle Politiche Sociali, l’Umbria fa un primo concreto passo avanti nel contrasto a tale fenomeno. Il progetto regionale che ha guadagnato il terzo posto su 17 prevede un finanziamento complessivo di 232mila euro, di cui 150mila (quota massima finanziabile) provenienti dal Ministero e la restante parte dalla Regione, dalle Asl, dai Comuni e dalla Provincia di Perugia. Il suo aspetto più caratterizzante è l’obbiettivo di formare “una rete delle reti” fra soggetti istituzionali, associazionismo e organizzazioni informali per capitalizzare tutte le risorse in campo e aumentare la specializzazione degli operatori, in maggioranza operatrici. Umbria, terrra di destinazione della tratta “Mai più violenze” rappresenta un buon inizio, ma il resto del lavoro è ancora da fare. Antonella Duchini, Sostituto Procuratore della Repubblica Direzione Distrettuale Antimafia, è un osservatore “privilegiato” della realtà locale e ricorda che il territorio dell’Umbria è anche il luogo di destinazione finale della tratta di donne provenienti dall’ex blocco sovietico e dall’Africa. Qui ci sono organizzazioni che procurano ingressi e che “smistano” le schiave nei locali notturni. Tuttavia un comun denominatore fra quelle donne, spesso schiave per necessità di un lavoro, e le donne vittime di violenza domestica c’è. In entrambi i casi accettano violenza e coercizione come una prassi normale perché sono sottoposte ad una sudditanza economica. Madri ed economicamente dipendenti le vittime più frequenti Se la dipendenza economica in Italia è per una donna ancora motivo di rinuncia a far valere i propri diritti nel lavoro come in famiglia, l’essere madre è in assoluto la causa prima del protrarsi delle dinamiche che la vedono vittima di maltrattamenti domestici. La paura di vedersi sottrarre i propri figli è tale da costringere le donne a subire ad oltranza. E' per questo che “la prima forma di resistenza”, secondo Antonella Duchini, “è l’indipendenza economica. Occorre un posto dove le donne possano andarsene portando via i propri figli”. Al convegno sono interventute anche Beatrice Lilli, che ha letto un brano dal suo libro-testimonianza “Rose Rosse: 17 anni di violenza domestica” e Barbara Spinelli, autrice del libro “Femminicidio”. Condividi