È alla vigilia della pensione, ma la passione, anzi il furore politico, sono tutt’altro che affievoliti. Stiamo parlando con Vasco Cajarelli che ci trasmette quasi l’ansia di volere ridare alla Cgil quella spinta necessaria che invece, pare mancare, proprio mentre la situazione sociale è assai pesante e destinata ad aggravarsi, e la destra è al governo sprizzando pulsioni fascistoidi tutt’altro che minoritarie. Ma è la strage ferroviaria di Brandizzo, solo di poche settimane or sono, ad indignarlo, anche sull’onda del ricordo del padre che nel 1975, lavorando in galleria ad apporre le traversine alle  quali vengono fissate le rotaie, si salvò per un pelo in circostanze analoghe.  “Ma allora le tecnologie comunicative nell’avvertire l’arrivo dei treni erano infinitamente più basse. Nonostante ciò è inaudito che ancora oggi dobbiamo assistere a tragedie come di questi 5 lavoratori travolti dal treno, proprio perché la produttività e il profitto, sono le priorità assolute che fanno aggio di tutto, anche della sicurezza e la vita di chi lavora per portare a casa di che vivere”.

 

Ma la grande manifestazione di Roma del 7 febbraio, pare appunto la presa d’atto che occorre una scossa

Si, è vero, la mobilitazione è iniziata da tempo, e le assemblee si fanno, ma mi preme dirlo, non nella misura che sarebbe necessaria, almeno qui in Umbria. Dobbiamo renderci conto che a situazione mutata - in peggio - occorre un salto di qualità, in termini di consapevolezza e volontà

 

Da che dipende questa bassa intensità?

E da tempo che anche in Cgil ci si limita, nel migliore dei casi, a battaglie meramente di fabbrica, per la vertenza e l’integrativo aziendali, oppure categoria per categoria, quando invece la crisi economica morde sanguinosamente, in termini di politiche sociali, sanità, pensioni, fisco, trasporto pubblico…. Occorre recuperare una confederalità dell’azione sindacale in grado di fare massa critica tale da condizionare il governo, tutti i governi.

 

Ma è “colpa” dei dirigenti o della scarsa propensione dei lavoratori alla lotta?

Diciamoci la verità: il fatto è che c’è una certa pigrizia culturale e scarsa convinzione nello stesso gruppo dirigente; non c’è più abitudine al conflitto e  alla vertenzialità; non ricordo quanto tempo è passato da quando abbiamo manifestato l’ultima volta davanti a Confindustria. Non è indifferente, al riguardo, che molti dei nuovi dirigenti  non provengano dalla produzione e quindi sono meno in grado di sentire e interpretare le reali esigenze del mondo del lavoro; si limitano a gestire l’esistente, quasi come degli impiegati, e ciò inevitabilmente, viene percepito anche dai lavoratori. Le dinamiche interne al sindacato che sono prevalse sono quelle che hanno fatto si che venissero messe ai posti di responsabilità, persone ‘affidabili’ e ‘sicure’ nei confronti dei vertici sindacali, più che quelle realmente rappresentative e dotate di una autonomia politica e di giudizio

 

Mentre invece…

Quando invece occorrerebbe, per invertire la rotta, tornare a battersi prima di tutto per il salario e la salute e la sicurezza del luogo di lavoro, due temi strategici e fortemente intrecciati fra loro

 

Spiega di più

Occorre prima di tutto sconfiggere l’idea che il salario si possa difendere esclusivamente attraverso una riduzione delle tasse, cosa importante certamente, ma oggi assolutamente insufficiente quando l’inflazione, che non accenna a recedere, sta erodendo il potere di acquisto dei salari, e senza tenere conto che ridurre le tasse genericamente, senza una riforma fiscale realmente progressiva, va a colpire di nuovo il lavoro dipendente che con il suo 84% del gettito totale, finanza sanità, scuola, pensioni, trasporto pubblico… Il salario si può difendere in due modi: con i contratti nazionali (molti sono scaduti da anni) e con la vertenza aziendale, strappando aumenti soprattutto dove con la speculazione innescata approfittando dell’inflazione, molte azienda hanno fatto profitti da favola: Eurospin, per esempio ha fatto registrare guadagni per 60 milioni di euro. Invece assistiamo a situazioni paradossali ove il contratto dei lavoratori del commercio (la più grande categoria, con oltre 4 milioni di lavoratori), scaduto da 4 anni, si sta conducendo senza che la proposta sindacale indichi la cifra relativa all’aumento salariale. Una timidezza salariale davvero inaccettabile

 

Dicevi dello stretto collegamento fra battaglia salariale e quella per la sicurezza

Esattamente: quando vi sono salari orari di 4/5 euro orari, non può esservi sicurezza alcuna, perché il lavoratore è concentrato esclusivamente sulla sua sopravvivenza, sulla necessità di mettere insieme il pranzo con la cena e quindi, in mancanza di meglio, accettare tutto, anche condizioni di lavoro insicure. La sicurezza e la salute nei luoghi di lavoro si possono contrattare solo quando i lavoratori hanno una base solida in termini di diritti per potersi battere senza ricatti legati alla certezza di avere un lavoro e un salario, almeno decente

 

Ma come si spiega che la stessa Cgil, in alcuni suoi comparti contraddica la battaglia nazionale sul salario minimo?

Si è vero: c’è in proposito, il caso emblematico del contratto nazionale dei lavoratori degli Istituti di vigilanza, scaduto da 8 anni, proprio mentre è in corso, in Parlamento e non solo, una battaglia sul salario minimo (9 euro), e dove è stato raggiunto un accordo che arriva a malapena ai 6 euro orari. Il sindacato si giustifica adducendo il fatto che dopo 8 anni si doveva pur portare a casa qualcosa, tenuto conto anche di rapporti di forza estremamente sfavorevoli. Ma si tratta, secondo me invece, di un vero e proprio autogol. A queste condizioni, e senza ricever neanche un euro a compenso degli anni di mancato rinnovo,  conveniva anche ritardare di un ulteriore anno il contratto, tenuto conto, fra l’altro, che la stessa Magistratura (a Milano) ha condannato le tre principali aziende nazionali di vigilanza, addirittura per “caporalato”.

 

Anche in Umbria e a Perugia ci sono vertenze in corso rispetto a tale misconosciuto e negletto settore del mondo del lavoro

Si, l’ultima è una vertenza con l’Onaosi, dove il prestigioso – ma in questo caso tutt’altro – istituto ha cercato di risparmiare sulla pelle dei lavoratori della vigilanza, attraverso il perverso meccanismo del “cambio di appalto” quello per cui la societa appaltatrice che subentra, lo fa abbassando le condizioni di impiego, fino talvolta a non applicare la clausola sociale, quella che prevede la garanzia del passaggio dei lavoratori dal vecchio al nuovo appalto. Ciò che colpisce è che questo è uno dei settori tra i più poveri che sconta sfruttamento e paghe da fame (anche 4,60 ero l’ora) che non garantiscono una vita libera e dignitosa a chi ci lavora, quasi sempre costretto da uno stato di bisogno ad accettare condizioni altrimenti inaccettabili. Si tratta soprattutto di lavoratori scelti al ribasso, facendo leva sullo scarso, quasi sempre, livello culturale, e quindi di consapevolezza dei propri diritti, ma sublimandoli con il possesso di un’arma. Uno scenario spesso penoso e che non a caso si coniuga molto non di rado con il fenomeno dei femminicidi, che appunto, in non pochi casi coincidono con i possessori di un’ arma. Un dato che ha impressionato lo stesso Prefetto quando lo abbiamo ultimamente incontrato

 

Cambiamo discorso: un giudizio sui rapporti con la Giunta regionale

La giunta Tesei in questi tre anni di governo, nel migliore dei casi ha galleggiato, trincerandosi nei nostri confronti con il fatto che “non sono competenza nostra le scelte di politica economica e industriale”, ma accorrendo subito a raccogliere applausi ove si registrava la conclusione positiva di una vertenza, come è stato ultimamente con il caso della Treofan a Terni. Insomma, l’impressione è che non sappiano dove mettere le mani, mentre la regione è in netto e inarrestabile declino, verso una sostanziale sua meridionalizzazione: diminuisce la popolazione, diminuisce il pil individuale e complessivo, questo tenuto in piedi grazie alle prestazioni di pochissime imprese (Cucinelli, AST, Oma Tonti, Umbra cuscinetti…), così come i salari fanno registrare un 3-4% in meno della media nazionale, mentre l’inflazione è fra le più alte. Una Giunta che sfugge continuamente alle proprie responsabilità scaricando continuamente, come per la sanità, le colpe a chi c’era prima. Un refrain ormai insopportabile

 

Infine, la Cgil in Umbria, come sta?

Come dicevo all’inizio, c’è un certo disorientamento, inadeguatezza, che prima ho chiamato pigrizia culturale, assolutamente letale in una fase delicata e pericolosa come questa, che si traduce in un sostanziale ‘tiriamo a campare’, e dove troppo spesso l’attività principale è quella dei Caaf. Sarebbe la fine lenta del sindacato; o meglio in una sua trasformazione in un’altra cosa, assai lontana da quello che auspico e soprattutto, di cui ci sarebbe ora bisogno. Né la nuova segretaria, a tutt’oggi, è riuscita a imprimere una reale discontinuità. La stessa vicenda della mancata elezione dell’ex segretario regionale Vincenzo Sgalla a segretario dello Spi, dimostra un gruppo dirigente in crisi e dove le divisioni - magari fossero politiche! - sono dettate più da logiche di cordata che da senso di appartenenza alla Cgil.

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