di Guglielmo Ragozzino

"Tutto con­si­de­rato mori­remo demo­cri­stiani" è l’affermazione che negli ultimi giorni abbiamo tutti sen­tito, per com­men­tare il risul­tato ren­ziano, andato ben oltre le pre­vi­sioni nel qua­drante ita­liano delle ele­zioni euro­pee; e per affron­tare il tema del pas­sag­gio di fase, del Gro, Grande Ritorno alle Ori­gini. Per espri­mersi con­tro una frase-sentenza tanto gra­ni­tica da meri­tare una sigla, si usano soprat­tutto due argo­menti: il primo è sto­rico e con­si­ste nel con­tro­bat­tere"; il secondo argo­mento è poli­to­lo­gico e si mate­ria­lizza in una più (o meno) sofi­sti­cata ana­lisi dei flussi elet­to­rali.

Al par­tito demo­cra­tico sareb­bero arri­vati voti dal dis­solto par­tito di Mario Monti, altri voti fug­giti via dal movi­mento di Beppe Grillo, altri ancora di aste­nuti nelle ele­zioni pre­ce­denti; non però dal campo ber­lu­sco­niano se non in minima parte: tanto per dire che l’incremento non arri­ve­rebbe da destra, ma piut­to­sto dalle oscil­la­zioni di un elet­to­rato flut­tuante, com­po­sto di per­sone dispo­ste a cam­biare opi­nione all’ultimo minuto, per motivi vuoi ideali, vuoi pro­pa­gan­di­stici. In sostanza il Pd sarebbe ormai un par­tito ame­ri­cano, simile in fondo a quello demo­cra­tico di Obama e di Clin­ton. Che stesse attento il par­tito demo­cra­tico a non fare pos­si­bili passi falsi, tanto da per­dere il volu­bile con­senso dei media.

Con­sa­pe­voli di un rap­porto di 1 a 10 di fronte al Gran Par­tito Demo­cra­tico, facen­do­gli tanto di cap­pello, con il rispetto che è dovuto ai forti da parte di noi deboli, use­remo qual­che riga di Sbi­lan­cia­moci per la lista Tsi­pras.

Occorre ricor­dare le due imper­vie cime che all’inizio della pri­ma­vera essa aveva da sca­lare. La prima era la rac­colta delle firme. Rac­co­gliere obbli­ga­to­ria­mente 3.000 firme in Val d’Aosta (150 mila in Ita­lia) per evi­tare che tutta la pre­senza elet­to­rale fosse annul­lata è stato uno dei tanti epi­sodi che deno­ta­vano impe­gno e bra­vura da un lato; dall’altro volontà truf­fal­dina del Potere per sba­raz­zarsi di un avver­sa­rio, «secondo legge». La seconda impresa «impos­si­bile» era di arram­pi­carsi alla cima del 4% con le mani legate die­tro la schiena. Per mani legate si intende ricor­dare che Tsi­pras era un nome poco noto e tale rimase nel corso della cam­pa­gna elet­to­rale. Ci si com­por­tava come se fosse molto poco ele­gante farlo cono­scere in giro, per esem­pio in quar­tieri peri­fe­rici, come Tor Bella Monaca a Roma. Nono­stante tutto, siamo arri­vati in cima.

Ora occorre deci­dere le pros­sime mosse. Avere una rap­pre­sen­tanza ita­liana di sini­stra al Par­la­mento euro­peo, — dove i fra­telli di Tsi­pras e i cugini verdi non sono pochi — è dav­vero molto fati­coso. Forse il gioco non vale la can­dela. Biso­gna in primo luogo stare insieme, deci­dere insieme le alleanze e la poli­tica, man­te­nere i con­tatti con elet­tori, par­titi e movi­menti in Europa e in Ita­lia. Sce­gliere bene, aiu­tare elet­tori, par­titi e movi­menti a sce­gliere bene. Certo è dif­fi­cile costruire insieme una poli­tica di giu­sti­zia sociale e di libertà civile in Ita­lia e in Europa, met­tendo insieme ope­rai senza lavoro, salari e red­diti pic­coli e grandi di chi lavora; e poi i vec­chi, ric­chi solo di fame e di malat­tie; e con­vin­cendo tutti quanti che «uniti si vince».

Certo è dif­fi­cile costruire giorno dopo giorno la pace ai con­fini dell’Europa, a Kiev, a Done­tsk, infi­schian­do­sene del gas. Dif­fi­cile strap­pare al mare, giorno dopo giorno, notte dopo notte gente venuta da fuori; e por­tarla a riva e curarla, come se fosse la nostra gente. Dif­fi­cile accet­tare che i nostri gio­vani, le nostre gio­vani par­tano, cer­chino in Europa la loro strada, impa­rino cose che noi nep­pure ci imma­gi­niamo. Molto più facile, più comodo lasciar per­dere l’Europa e tirar­sene fuori.

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