di Vincenzo Vita.

Persino meglio del previsto le tribune elettorali della Rai. Uno share tra il 2% e il 4,5%, grazie soprattutto agli azzeccati confronti a tre collocati in orario decente sulla terza rete. Come si vede, se si osa un po’ il pubblico si appalesa. E’ un sintomo interessante, da valutare con cura da parte dei vertici dell’azienda pubblica.

Certamente la televisione continua, eccome, ad essere importante, ma è in calo rispetto all’ascesa dei social. Chi sta studiando in modo scientifico la recente campagna elettorale (“Osservatorio tg”, a cura del dipartimento di Comunicazione e Ricerca sociale dell’università La Sapienza d Roma con Eurispes) sostiene che il distacco si sta riducendo molto. Anzi, si potrebbe aggiungere, è come nelle volate di ciclismo, tornate di attualità con il Giro d’Italia. Chi è secondo, ma in rimonta, vince. E, infatti, aspettiamoci il sorpasso nelle prossime consultazioni politiche, vicine o meno che siano.

E’ vero che a vista d’occhio la presenza dei soggetti politici in video (diseguale e premiante per Lega e Mov5Stelle, salva la benevolenza per Berlusconi nei canali di Mediaset) è fluviale. Tuttavia, è cresciuto il potere della Rete nella costruzione del clima di opinione. Da una parte la quantità, dall’altra la propaganda qualitativa, dove quest’ultimo termine non significa ovviamente un giudizio di merito. Generalismo annoiato contro abile mosaico di nicchie ormai vaste ed agguerrite.

Il “Rapporto sul consumo di informazione” varato ormai un anno fa dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni già chiariva che “La dieta informativa degli Italiani è caratterizzata da uno spiccato fenomeno di cross-medialità”. Tra i Millennials (18-34 anni) eravamo vicini: 26,9% per i mezzi tradizionali e 25,9% per Internet. Per ritrovare una netta supremazia della televisione è necessario arrivare ai Matures, vale a dire coloro che hanno dai 65 anni in su. Del resto, i social – come è stato ben indagato- determinano forme di dipendenza persino superiori a quelle della televisione. La spregiudicata strumentalizzazione dei dati delle persone e dei rispettivi profili è diventata l’anima nera degli Over The Top. Facebook e Twitter sono l’epifenomeno di una tendenza assai concreta e tendenzialmente devastante. Guai a sottovalutare ciò che sta accadendo, con il rischio di ripetere la stessa “stecca”, mutatis mutandis, che il sistema politico fece nel 1976, quando entrarono i privati nel settore della radiodiffusione. La lentezza surreale nel comprendere i fenomeni della modernità e il rinvio colpevole di una regolamentazione democratica aprirono la strada al berlusconismo. Quest’ultimo vive ancora oggi, e non solo per l’ennesima “resurrezione” mediatica del Cavaliere. Vive perché l’utilizzo dei social assomiglia molto alle logiche e agli stili televisivi. L’uno che parla a molti, non la partecipazione cognitiva, impera nell’era di Salvini e omologhi. C’è un tratto di congiunzione tra il patron di Arcore e il capitano leghista. O, in misura minore, Di Maio e lo stesso Zingaretti. Conosciamo, poi, l’anomalia della “piattaforma Rousseau”, sanzionata dal Garante della privacy. Tra l’altro, un felice articolo di Gigio Rancilio pubblicato dall’”Avvenire” dello scorso giovedì 23 maggio ha messo in luce la messe di fake news e di follower politici falsi. A parte le cospicue risorse finanziarie necessarie per stare in quel particolare mercato competitivo.

Non cè tempo. E’ urgentissimo mettere all’ordine del giorno una sobria ma efficace normativa in grado di esigere trasparenza sugli algoritmi utilizzati, nonché parità di condizioni e di accesso.

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