di Valerio Marinelli.

A spasso nelle storie con lo sguardo all'insù, verso i cieli della grande storia. Castellani gioca infatti a tenere in tensione il filo sottile e al tempo stesso resistente che lega le esperienze dei singoli alle esperienze collettive. La dialettica tra storia e storie permette all'autore di emanciparsi dai classici canoni del romanzo storico per esaltare quell'intimità umana e quelle profondità emotive che vivono negli interstizi degli eventi. Ecco, allora, che tra le righe si apre un pertugio per la memoria, intesa come radice di un'identità da conoscere e coltivare, ma - soprattutto - da trasmettere. Attribuendo senso e significato al passato, Castellani, da padre, parla alla figlia, perché ella possa imparare a collocarsi nel presente e orientarsi nel futuro consapevole che ogni uomo e ogni donna rappresenta un anello di congiunzione tra un prima e un dopo. Il “c'era una volta” che affiora da pagine asciutte per poi nascondersi nell'intensità narrativa del testo mai indica o sancisce un mondo trascorso e perduto. L'ombra del concetto di “compresenza” formulato dal Capitini si insinua in questo raccontare di ieri per raccontarsi nell'oggi. Passeggiare nelle storie si traduce così in un atto pedagogico che lo scrittore rivolge a sé stesso e parimenti a chi legge tramite il putativo destinatario del romanzo. Fra le strade e i vicoli dei racconti nel racconto si scorge infine il tema politico. L'autore, con sano spirito partigiano, cerca coerenze ideali, motiva appartenenze razionali e sentimentali in grado di rinovellare con i paradigmi cognitivi attuali i valori del progressismo maturato nei tumultuosi tornanti otto-novecenteschi.

Scoprire e riscoprire il tempo passa necessariamente per scoprire e riscoprire lo spazio, cioè i luoghi, quelli - ad esempio - dell'Appennino umbro, precisamente del Gualdese, dove il Castellani nasce e trascorre l'intera gioventù. Qui, durante l'infanzia, assaggia sia gli antichi dolori della miseria contadina sia i sapori semplici di un'esistenza tanto sudata quanto fiera e onesta. Un'esistenza che tra una storia e un'altra ritorna, con coraggio e umiltà, a rivelarsi e, sotto certi aspetti, a rinnovarsi. Sia che sullo sfondo si stagli l'immane tragedia della Prima guerra mondiale o si profilino i drammatici e angosciati momenti della Resistenza al nazi-fascismo, sia che gli scenari introducano il medioevo delle streghe o annuncino l'Ottocento dei briganti, la narrazione non smarrisce il proprio percorso e il proprio scopo, appassionando il lettore con un ritmo regolare e vivace. A volte Castellani approfondisce la storia, a volte la trascura preferendo le storie. In sintesi, prova a sperimentare un equilibrio non banale tra macro e micro, dal quale cerca incessantemente di trarre spunti argomentativi e riflessioni capaci di stimolare pregnanti domande di senso. Scevro da velleità filosofiche, ma animato da un tetragono spirito umanista, Castellani rompe la bussola del preconcetto per restituire alla verità la sua intrinseca dimensione di precarietà, il suo carattere di ricerca mai definitiva. In tal modo, le storie diventano piste su cui cimentarsi, sentieri che puntano oltre l'orizzonte del descritto e del descrivibile.

Il libro non è adatto a chi ama ridondanze stilistiche o speciosi artifici letterari. Il recensore lo consiglia soltanto a chi è figlio o a chi è figlio e genitore.

Condividi