La miglior prova della continuità politica tra Renzi e Letta (al di là delle assicurazioni su una presunta discontinuità che sa di gattopardismo) è nella reazione dei mercati finanziari. Che, per nulla spaventati della crisi di governo, al contrario non lesinano giudizi incoraggianti sul nostro paese, mentre il famigerato spread tra titoli di stato italiani e tedeschi resta sonnecchiante. 
Per dire, la solita Moody’s ha gratificato il nostro paese, giusto ieri, in piena bagarre politica, di un Baa2 (quindi una conferma del rating italiano, per altro già declassato) portando l’outlook da negativo (aprile 2013) a stabile. L’economia è in ripresa? Le esportazioni volano? Il debito diminuisce? La disoccupazione cala? Macché. Semplicemente, la staffetta a Palazzo Chigi non significa cambi di rotta significativi in campo economico e il segretario Pd rappresenta, ai loro occhi, il degno successore dei governi dell’austerità imposti dall’Europa a partire dal 2011.

E non ci si venga a dire che il segno più al Pil del quarto trimestre 2013 sia la svolta e la prova che l’Italia stia uscendo dalla recessione. Parliamo di uno 0,1% che arriva dopo anni di segno meno e che, a meno di voler credere agli asini che volano, richiede altrettanti anni e se non più per riportare la nostra economia ai livelli pre-crisi. D’altra parte, lo dice pure l’Istat: secondo le prime stime, su base annuale il prodotto interno lordo è diminuito dello 0,8%. Tanto che nel computo complessivo dei 12 mesi, l'economia italiana si è contratta dell’1,9%, peggio di quello che avevano previsto il governo nel Def (-1,7%) e l’Istat stessa (-1,8). E dunque, anche se nel 2012 il dato era stato di -2,5%, siamo ben lontani dall’essere fuori dalla recessione. Per la cronaca, nello stesso quarto trimestre del 2013, il Pil nell'Eurozona è aumentato dello 0,3% e nella Ue dello 0,4% rispetto al trimestre precedente quando era già salito rispettivamente dello 0,1% e dello 0,3%.
Suona dunque stonata la sviolinata che Moody’s fa al nostro paese.

L'agenzia di rating cita tra i motivi per cui ha deciso di rivedere al rialzo l'outlook dell'Italia portandolo a stabile, «la capacità di recupero», dimostrata, «delle capacità finanziarie del governo italiano», che, «fanno prevedere lo stabilizzarsi della percentuale del livello del debito pubblico nel 2014 che Moody’s prevede raggiunga il suo picco poco sotto al 135% con una modesta ripresa economica». Considerate le “sviste” di queste agenzie di rating internazionali che non solo non hanno previsto la crisi dei subprime, ma anzi l’hanno in parte provocata rilasciando giudizi completamente sbagliati, viene il dubbio che, in realtà, a pesare siano ragioni che poco hanno a che fare con l’economia reale e molto con gli interessi della grande finanza (banche, compagnie di assicurazione, fondi) che hanno tutto l’interesse che i governi portino avanti politiche di rigore economico e dunque di privatizzazione per poter mettere le mani su ciò che resta, proprio in Europa, del patrimonio pubblico (welfare, trasporti, istruzione).
Non per nulla, Moody’s nel comunicato sottolinea che «le dimissioni odierne del primo ministro Enrico Letta e l'attesa che Matteo Renzi guidi un nuovo governo non cambia in alcun modo le aspettative» dell’agenzia. Parole che più chiare non si può.

 

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