di Sarah Bistocchi

Perugia appare, e purtroppo è, una città ferma e in ostaggio. Anzitutto ferma, nel processo di sviluppo e progettazione del futuro, dentro a una fortissima crisi di identità e crescita. In ostaggio, invece, di chi la governa: il silenzioso Sindaco Romizi e la sua inerte Giunta. Esempio ne è il modo in cui è stato affrontato il bilancio comunale in questo anno, con ricadute concrete sulla vita quotidiana dei perugini. Il capoluogo umbro, infatti, risulta essere uno degli ultimi comuni della regione ad approvare il bilancio di previsione 2020, al pari dei comuni a rischio dissesto come Montefalco.
Nel frattempo, dall’inizio dell’anno e presumibilmente fino a settembre, Perugia, senza bilancio approvato, risulta bloccata in tutti i suoi aspetti, dalle manutenzioni stradali a quelle del verde pubblico, fino ad arrivare al capitolo degli investimenti, ancor più necessari in questo momento. Insomma una città, dal centro alle periferie, totalmente abbandonata a se stessa.
Eppure dal Governo sono arrivati numerosi aiuti per affrontare questa difficile fase della vita del nostro Paese, a partire dai fondi erogati agli Enti Locali, che per Perugia ha significato una cifra di quasi 10 milioni di euro.
Ciononostante, ci troveremo con un bilancio che, anziché aiutare i cittadini e le imprese in difficoltà, porterà in dono un probabile aumento della Tari. Tanti comuni umbri governati dal centro sinistra non solo hanno già chiuso i propri bilanci, ma hanno anche creato dei fondi speciali, al fine di rimborsare la tassa sui rifiuti alle aziende rimaste chiuse durante il periodo del lockdown. Anche il centrosinistra perugino, dai banchi dell’opposizione, ha più volte proposto soluzioni simili a quelle intraprese dagli altri comuni umbri, ma la maggioranza è simile ad un muro di gomma, la cui refrattarietà non verrà pagata dai consiglieri comunali del Pd, ma dall’intera città, suo malgrado in affanno, in difficoltà, quasi in tilt.

Ma l’incapacità e l’immobilismo politico della Giunta Romizi traspaiono anche da altre questioni, tra cui quella, delicata e importantissima, delle scuole. Sono ancora molti gli interrogativi che i genitori, gli insegnanti e i dirigenti scolastici pongono all’amministrazione per il nuovo anno scolastico ormai alle porte, dall’organizzazione per le riaperture in termini di orari del servizio, di spazi, di rapporto educatore/bambini, fino alla gestione dei bimbi con disabilità. In generale, ciò che manca è una visione complessiva della programmazione delle infrastrutture scolastiche.
Anche le recenti questioni, legate alla riqualificazione dei plessi di Perugia -Ciabatti e Valentini- o quella della riorganizzazione degli spazi e dei luoghi in cui sorgono gli istituti scolastici -Progetto scuola di Rimbocchi- sono un esempio di difficoltà manifesto e palpabile. Sarebbe invece questo il momento, anche in tale ambito, di ripianificare la città, in base alle nuove esigenze delle scuole, dai molti spazi vuoti che potrebbero essere riutilizzati dalla popolazione scolastica fino ai tanti plessi che dovrebbero essere riqualificati a Perugia.

Insomma, sta venendo a nodo la mancanza di un progetto generale per Perugia che ha negli uomini e nelle donne della Amministrazione Romizi la sua massima responsabilità. Chiacchiere tante, conferenze stampa a iosa, ma nessuna concretezza. Basti guardare come sono stati (non) gestiti i progetti per gli spazi della città. La mancanza di visione, di progettualità e di prospettiva di questa Ammministrazione è diventata un tratto distintivo ormai noto a molti, ma che a tutta la città porta un impoverimento evidente. Sarebbe invece questo il momento di agire, di progettare, di pianificare la nuova Perugia.
Molte risorse saranno investite nel nostro Paese grazie ai fondi del recovery fund, e tante di queste arriveranno in Umbria e a Perugia. I progetti di rilancio del territorio, a partire dalle infrastrutture fino ad arrivare al ripensamento del tessuto economico e produttivo, faranno la differenza, e solo una classe dirigente capace, consapevole e coraggiosa potrà affrontare questa importante sfida, abbandonando l’inerzia di chi, dopo sei anni, non ha ancora chiara la differenza tra amministrare l’ordinario e progettare lo straordinario.

Ma Romizi e la sua Giunta non sono gli unici a non avere una visione: anche il Partito Democratico ha dimostrato, suo malgrado, di potersi perdere. E di aver bisogno non tanto di un cambio di direzione, ma certamente di un cambio di marcia.

Chi dice che il Partito Democratico non esiste più, sbaglia. Sbaglia, e non si accorge delle tante donne e dei tanti uomini che continuano a mettere a disposizione il proprio tempo e le proprie energie al servizio di una comunità sana e determinata, nonostante tutto, a riacquisire dignità, credibilità, e autorevolezza. Quella ricetta necessaria per tornare a convincere, e dunque, a vincere. Un Partito che torni ad essere un luogo in cui esprimere la propria passione  e le proprie idee, in cui rilanciare un progetto politico su nuove basi: serve discontinuità senza disconoscimento, serve abbandonare i metodi del passato, ma difendendo i nostri principi e i nostri valori. Un Partito degli interessi generali, di donne e di uomini che hanno a cuore la propria comunità, lo spazio costruito e quello della natura. Un Partito che riporti Perugia ad essere città europea, e non una città provinciale degli anni Cinquanta. Un Partito che difenda la città, un Partito che sia “il Partito della Città”.

Quel bagaglio culturale e valoriale che ci differenzia e ci distingue dal centrodestra e soprattutto da questo centrodestra, il peggiore della nostra storia repubblicana. Lavoro e diritti, legalità e ambiente, solidarietà e antifascismo, pilastri irrinunciabili per la casa delle democratiche e dei democratici, non barattabili, non eludibili, non alienabili.

Sconfitte elettorali pesanti, alcune più grandi di noi, e lotte intestine interminabili, se non con uscite di scena, sono due facce della stessa medaglia, che hanno reso un’azione politica fiacca, ma soprattutto una classe dirigente, seppur con dei distinguo, responsabile di una crisi di consenso e di rappresentatività. Questo circolo vizioso, in cui ognuno porta con sé le proprie responsabilità, che ha balcanizzato il partito per molto, troppo tempo, e che ha visto un’emorragia di iscritti e di energie, va ora interrotto.

In questo senso, impariamo a non avere paura dei congressi. In questa esigenza di rilegittimazione e rinnovamento non solo dei volti, ma anche delle idee e dei metodi, il Partito Democratico sarà chiamato ad individuare, a tutti i livelli, da quello dei circoli fino a quello regionale passando per quello comunale, una nuova classe dirigente, autorevole e meritevole, che conosca le stanze del partito quanto le strade della città, ma che, soprattutto, sia espressione delle migliori qualità di Perugia e non frutto del leader di turno. La fase congressuale che ci apprestiamo ad aprire, dunque, diventa centrale, ma non equivocabile. Non commettiamo l’errore di viverla come un problema da osteggiare, una criticità da risolvere, un pericolo da sventare; al contrario, rappresenta un’opportunità, un’occasione, una risorsa. Da cogliere. Non una resa dei conti quindi, come una certa narrativa, più esterna che interna al partito, vorrebbe descrivere; ma neanche un compromesso al ribasso, in cui la logica dei veti incrociati ha la meglio su di un confronto sano e leale.

Proprio di questo, invece, ha bisogno il Partito Democratico, anche, soprattutto e a cominciare dal capoluogo umbro: di un confronto libero, onesto e generoso, su cui ridefinire contenuti valoriali e programmatici di una comunità politica rigenerata e rappresentata da un gruppo dirigente capace e autonomo, consapevole del fatto che è finita l’epoca del consenso individuale, e inizia la stagione dell’interesse comunitario. Sapendo che un partito unito può e anzi deve essere un partito plurale: un luogo in cui tutte le componenti possano trovare al suo interno spazio, dimora e abitabilità, sotto una guida forte che non sottrae, ma che dà, riconoscimento e dignità.

La vera sfida è dimostrare che abbiamo compreso fino in fondo la lezione pervenutaci nel recente passato. Ecco l’urgenza e l’importanza del congresso, a Perugia e in Umbria: dobbiamo poter dire, abbiamo capito, ora ripartiamo, insieme.

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