Hanno diritto a chiedere il rimborso integrale gli obbligazionisti delle quattro banche "salvate" dal governo? Beh!, la risposta pare semplice sul piano formale, probabilmente no ma su quello sostanziale, sicuramente si. La discussione sul tema (anche drammatizzata dal caso di un tragico suicidio) ha campeggiato sui giornali, invaso i talk show televisivi, infiammato il dibattito in Parlamento e tra le forze politiche. Avrà, con ogni probabilità un seguito giudiziario come conseguenza delle richieste di rimborso e delle denunce amministrative e penali presentate dalle singole parti lese, ma soprattutto dalle associazioni di consumatori e utenti. La questione ha un grande rilievo non solo e non tanto per il numero dei risparmiatori coinvolti (che pure non è marginale e, come ha scritto questo giornale, ha ricadute consistenti anche in Umbria), quanto per il carattere "esemplare" che può assumere e i riflessi che potrebbe avere sul sistema creditizio del nostro Paese che è, a datare dagli ultimi decenni, l'architrave su cui poggiano le sorti dell'economia, anzi, a ben vedere, dell'intera società, essendone diventato il "mercato" elemento sovra ordinatore e giudice inappellabile.
Ci sono stati degli eccessi evidenti. Qualche economista e commentatore ha scritto che chi è causa del suo mal pianga se stesso, cioè che è giusto che i sottoscrittori di obbligazioni paghino, come punizione per la loro "ingordigia", per il fatto cioè di non essersi accontentati degli interessi "normali" dei correntisti e di "aver preteso di più" anche esponendosi al rischio di perdite. Dietro queste affermazioni c'è un doppio cinismo: quello di chi fa finta di non sapere che il rendimento dei depositi in conto corrente corrisponde praticamente a "niente" e quanto quindi sia legittima l'aspirazione ad avere qualche cosa di più e quello di chi non si pone minimamente il problema del dramma economico e umano di tante persone e famiglie che, da um momento all'altro e senza sentirsi in colpa, si trovano private dei faticati risparmi sui quali avevano investito il presente e il futuro loro e dei loro figli.
Ora, è evidente che gli obbligazionisti delle banche salvate, o sicuramente la loro stragrande maggioranza, non sono speculatori finanziari che, giustamente, pagano il prezzo di operazioni o investimenti sbagliati. Essi sono le vittime di un sistema che, nella migliore delle ipotesi, da meno di quel che promette e, nella peggiore, conduce al disastro. Tutti, chi più chi meno, hanno esperienza di rapporti con le banche e sanno come, in generale, funzionano le cose. Anche quando non sono palesemente truffati o ricattatoriamente costretti, i piccoli risparmiatori aderiscono a proposte allettanti degli istituti di credito e lo fanno in maniera il più delle volte inconsapevole dei rischi che corrono perché nessuno si cura di sottolinearne la portata o, addirittura, di menzionarli. Forse sono scritti, ma chi si prende la briga di leggere le infinite clausole di un contratto riportate a caratteri quasi illeggibili? Chi dovrebbe mettere in guardia dai rischi e non lo fa, i funzionari e i venditori, non possono essere criminalizzati: essi eseguono gli "ordini" della banca che normalmente premia con incentivi crescenti la quantità dei prodotti finanziari che riescono a piazzare.
Ora si è aperta la caccia alle responsabilità: sotto processo gli amministratori che falsificano i bilanci, le banche che vendono titoli taroccati o "inadeguati", le autorità di controllo che, si dice, non hanno adempiuto ai loro compiti. Tutto giusto. Si cercano però responsabilità individuali delle persone e circoscritte delle singole istituzioni.
Quello di cui non si paria è forse il principale responsabile: è un sistema che ha fatto del mercato l'arbitro della vita di tutti noi, della speculazione finanziaria la molla principale dell'economia, del businnes l'idolo senza regole al quale ogni azione alfine debba essere subordinata e finalizzata. E a questo che bisognerebbe mettere mano.

Leonardo Caponi

Questo articolo è stato pubblicato dal quotidiano Corriere dell'Umbria di martedi 15 dicembre 2015.
L'autore e il giornale hanno autorizzato la sua pubblicazione anche su Umbrialeft.

Condividi