Due anni fa, il 2011 si apriva con quelle che in tanti salutammo con gioia come le “primavere arabe”. In pochi mesi caddero dittatori che sembravano inamovibili come Ben Alì e Moubarak. Anche i nei paesi del Golfo nacquero tentativi di rivolta che in parte portarono a piccoli risultati ma soprattutto vennero repressi e dimenticati. In fondo sono paesi che, come in Arabia Saudita, pur applicando la Sharia nelle sue espressioni peggiori, venivano definiti ad occidente come “moderati”. Ma moderati erano considerati fino a pochi mesi prima tanto il dittatore tunisino che quello egiziano, come laici e in fondo progressisti erano considerati un tempo Saddam Hussein e Hafiz Al Assad, padre dell’attuale leader siriano Bashir. Bastarono pochi mesi prima che un altro ex nemico divenuto alleato e partner economico di fiducia per Italia e Usa – si ricordi il baciamano del 2009 –, Muhammar Al Gheddafi, venisse improvvisamente reinserito nella lista nera. Rivoluzioni certamente endogene, intrusioni di potenze straniere nel conflitto, fatto sta che anche Gheddafi venne spazzato via. Ad un tiranno utile all’Occidente che però contrattava il prezzo di gas e greggio in cambio di una esternalizzazione delle frontiere per regolare l’ingresso di persone poi considerate non regolari in Italia, si sostituirono milizie affatto unite che recentemente hanno rinegoziato con Letta simili trattati. In quell’estate del 2011 arrivarono complessivamente circa 60mila persone, soprattutto in fuga da Tunisia e Libia – dalla Libia partivano persone 

provenienti dall’Africa Sub Sahriana – in parte anche dall’Egitto. Si creò un marasma assurdo.

Lampedusa, 22kmq, si ritrovò vergognosamente intasata per l’inadeguatezza della macchina dell’accoglienza, l’Italia pretese dall’Europa di considerare questa una emergenza umanitaria, a Bruxelles risposero, ahinoi giustamente, che la terza economia europea ce la poteva fare da sola. Nacque allora quella che in gergo si chiama ancora Ena (Emergenza Nord Africa), intervennero Protezione Civile, prefetture, terzo settore senza passare per nessun tipo di controllo. Non è ancora chiara la cifra che venne utilizzata per sistemare i profughi, prima in veri e propri campi di contenimento soprattutto a Sud, poi secondo piani regionali in strutture che si misero a disposizione non certo gratuitamente. Due esempi per tutti, il mega Centro di Accoglienza per Richiedenti Asilo di Mineo, in provincia di Catania, costo annuo dell’affitto che si dovrebbe aggirare sugli 8 milioni e 500 mila euro e l’albergo di Montecampione nel bresciano dove a luglio, con le ciabatte infradito, si ritrovarono in 200 a 1800 metri d’altezza e il freddo che arrivava. Arrivarono soldi a pioggia, controlli scarsi, solo la Regione Toscana riuscì a tentare almeno di improvvisare un piano serio e enti gestori che hanno lucrato sulla vita delle persone. Molti dei ragazzi arrivati a Lampedusa, poi in Sicilia e poi smistati in strutture temporanee come i Cai, (Centri di Accoglienza e Identificazione) mai votati in parlamento, scapparono o vennero fatti scappare. Tutti volevano andare fuori dall’Italia vissuta come un posto che non offriva niente se non vivere di espedienti o spaccarsi la schiena nel lavoro schiavo in agricoltura. E molti riuscirono a traversare il confine francese dopo Ventimiglia, molti vennero presi e riportati in Italia. Dopo alcuni mesi, soprattutto per tunisini ed egiziani, tornarono in vigore i precedenti accordi di riammissione e ripresero i rimpatri verso paesi in cui poco era cambiato di fatto. Modifiche formali dal punto di vista politico, le forze islamiste che si affermavano, la crisi economica che pesava sempre più. 
L’Emergenza Nord Africa, venne prorogata fino al gennaio scorso, accoglienza sommaria in strutture inadeguate, nessun percorso di inclusione, vite allo sbando per migliaia di ragazzi fino alla fine, quando con un decreto misero si decise di lasciare ai rimasti 500 euro per rifarsi una vita e li si privò, in alcuni casi da un giorno all’altro di alloggio. Il tutto, va ripetuto ad libitum, con una spesa immensa e mai controllata per la collettività confermando una teoria sintetizzata nel 2004 nella trasmissione Report da Milena Gabanelli : «Gli immigrati non li vuole nessuno, i soldi degli immigrati li vogliono tutti».

Quanto accaduto questa estate che volge al termine dovrebbe poterci far riflettere. Tante le differenze: la Libia non è quasi più paese di partenza, le navi con i profughi tentano di arrivare direttamente sulle coste siciliane e calabresi affrontando viaggi più rischiosi, le rotte sono cambiate e in parte ancora poco conosciute come sono cambiati i paesi di provenienza. Ma soprattutto il numero degli arrivi è drasticamente diminuito – 25 mila secondo il ministero dell’Interno a fine agosto, di cui circa 3000 provenienti dalla Siria. Non arrivano più giovani di belle speranze, ma nuclei familiari interi, arrivano spesso dopo fughe rocambolesche. C’è chi ha passato due anni nei campi profughi irakeni o giordani, chi tenta il passaggio dalla Turchia, si narra di imbarcazioni che fanno scalo sulle coste egiziane per riempire il carico. I costi superano, dai racconti, i 12 mila dollari a persona. Chi arriva spesso ha già un programma definito, un parente da raggiungere in Nord Europa o in Francia, un progetto transitorio di inserimento ma non in Italia. Anche i bambini, rinchiusi a Catania, in agosto manifestarono gridando «No Italia, No Italia». Hanno non più di 10, 12 anni e hanno già visto tutto. Se come purtroppo probabile le scelte militari di Obama e Hollande troveranno conferma e applicazione, l’intera area che va dall’Egitto alla Siria comprendendo i paesi interni, rischia di essere coinvolta pesantemente. Allora i profughi, che intanto sopravvivono accampati sperando in una soluzione politica, dovranno andarsene per non rischiare di divenire, “effetti collaterali”. Se, come sembra e ignorando anche qualsiasi dibattito parlamentare – evidentemente scomodo – anche l’Italia sarà direttamente coinvolta nelle operazioni, si dovrà essere pronti ad affrontare una catastrofe umanitaria simile a quella del Kosovo. Non un’immigrazione della speranza quindi, ma una fuga di persone che rischiano la vita e che da un momento all’altro si ritroveranno senza null’altra speranza che abbandonare il paese in cui vivono, il proprio lavoro, la propria serenità.

E anche se materialmente l’Italia non dovesse partecipare ad operazioni di guerra, il suo territorio diventerebbe la prima meta sicura raggiungibile. Allora occorrerà predisporre piani di vera accoglienza, magari coordinandosi con i paesi dell’Ue per far si che chi vuole possa spostarsi laddove sono possibili prospettive di inserimento. Un piano di accoglienza europeo insomma che non deresponsabilizzi l’Italia ma che almeno veda al centro la vita dei profughi. Un piano capace di andare oltre le strette norme sancite in materia dalle varie versioni del Regolamento di Dublino (obbligo di chiedere asilo nel primo paese Ue in cui si mette piede), un piano capace di far tesoro della fallimentare esperienza del ministro Maroni e rimetta in campo strategie di protezione concreta. Ma perché questo accada ci vorrebbe in Italia un governo di sinistra capace di relazionarsi alla pari con un Europa in grado di ragionare in termini di prospettiva. Ma la guerra avanza e i rifugiati in fondo sono solo esseri umani di serie B da controllare e spostare come pacchi, da vendere al miglior offerente nella logica domanda / offerta di cui è ormai complice buona parte del terzo settore. E i profughi saranno ancora una volta utilizzati come spauracchio da una destra squallida incontrando scarsa opposizione nell’ovattato mondo delle larghe intese. E viene da pensare che, come accadde per il terremoto all’Aquila e come accade durante ogni disastro, nell’ombra o alla luce del sole c’è chi si fregherà le mani pensando che altri soldi sono in arrivo. Una ragione in più, se mai ce ne fosse bisogno, per lottare affinché le armi tacciano.

Stefano Galieni

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