di Leonardo Caponi

 

PERUGIA - Ci sono alcuni elementi di riflessione nelle recenti primarie del Pd per la scelta del segretario provinciale di Perugia, elementi  che sono, per così dire, “precipitati” nel convulso finale. Il primo è lo straordinario accanimento per la conquista di una postazione politica che, con tutto il rispetto, non vale l’ardore profuso. E’ evidente che dietro ci sono questioni legate alle prossime candidature istituzionali, ma oltre e più di questo c’è una logica competitiva e muscolare che sembra aver pervaso il partito, alimentata da nodi politici irrisolti e conflitti personali vecchi e nuovi. I titoli dei giornali che raccontavano gli sviluppi della contesa, molto spesso invece che ai candidati, sono stati dedicati ai loro mentori o “padrini”, mentre tutti scommettevano, naturalmente, sulla fine delle correnti e dei capicorrente.

   Le differenze “programmatiche” tra gli sfidanti sono apparse molto sfumate fino a sembrare, se si eccettuano accentuazioni lessicali e quelle forse deducibili dalla storia politica di ciascuno di loro, sostanzialmente inesistenti. Nei congressi dei circoli di base (questa è la questione più allarmante), dovunque, è stata segnalata una discussione politica molto scarsa, se non addirittura nulla. A farla da padrone è stato il momento del voto. Nei partiti di sinistra di un tempo sarebbe stato impensabile eleggere un segretario e un gruppo dirigente senza, come si diceva, “un ampio dibattito”. Le sezioni erano piene e, se perdevano qualcosa, era al momento della votazione. Oggi accade il contrario. Le sedi si riempiono all’ora stabilita per il voto con l’afflusso di persone che, senza aver ascoltato e detto niente, hanno ben chiaro in anticipo il candidato per cui votare. E’ stata questa distorsione a indurre la Direzione nazionale ad assumere la misura straordinaria (e, a ben pensarci, enorme!) di bloccare la possibilità di adesione al partito per mantenere la sua integrità.

   L’impatto comunicativo delle primarie è stato negativo. Esse dovevano essere una festa della democrazia e sono state invece il segno della crisi di un partito e del fallimento di un modello politico fondato sulla personalizzazione e il leaderismo, del quale le primarie erano individuate come “elemento fondante”.

   Il Pd in Umbria si trova di fronte ad un grande problema: la drastica riduzione delle risorse locali e anche una richiesta di moralizzazione dell’opinione pubblica, giusta o sbagliata che sia, impongono il ridimensionamento dei sistemi di potere su cui poggia il consenso. E’ necessario in sostanza un cambiamento, ma esso è ostacolato da quegli stessi sistemi per cui il potere è questione di sopravvivenza. E’ qui la origine dei drastici conflitti politici e personali e degli improvvisi e apparentemente inspiegabili “impazzimenti” di organizzazioni territoriali tradizionalmente monolitiche e solide.

   Con la primarie, si era detto, la parola torna alla gente e viene superata l’odiosa intermediazione dell’apparato del partito. Al riguardo ci sono molti interrogativi. All’apparato del partito si sostituiscono gli apparati dei potentati istituzionali e territoriali, con la non piccola differenza che questi ultimi, spesso, paiono orientati non tanto all’interesse generale quanto alla propria promozione. E, per dirla con tutta sincerità, con questo nuovo sistema anche la qualità del personale politico in generale (forse per effetto della crisi della politica) non appare affatto migliorata rispetto al passato; anzi!

     Detto questo, auguri, di cuore, al nuovo segretario. Ha di fronte un’impresa molto difficile, forse una missione impossibile, senza essere Tom Cruise

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