Pontecuti di Todi: 5 civili assassinati. Erano stati usati come bestie da soma

Elio Clero Bertoldi
PERUGIA - Quel 13 giugno del 1944 cadeva di martedì. E la vita di un gruppo di famiglie della frazione di Pontecuti, ai piedi di Todi, dove scorre lento il Tevere, prima di infilarsi nell'aspra gola del Forello, fu tragicamente e terribilmente squassata da improvvisi e imprevedibili avvenimenti. Che non erano gli usuali, ordinari lavori nei campi e nelle stalle.
In quei giorni le truppe tedesche si stavano ritirando verso il nord, per attestarsi lungo la "linea del Trasimeno", inseguiti dalle truppe anglo-americane, che erano riuscite a frantumare la "linea Gustav", prima e la liena Caesar, sotto Roma, poi. Le fortificazioni della "Trasimeno" rappresentavano per i tedeschi una sorta di avamposto della "linea Gotica", dove gli apparati difensivi risultarono, anche per le asperità del terreno, molto più efficaci.
Ligi ai dispacci e alle ordinanze del feldmaresciallo Albert Kesselring, comandante in capo della "Campagna d'Italia", i nazisti mettevano in opera, a piene mani, la strategia del terrore, delle razzie nelle case e della terra bruciata, dietro di loro.
Alcuni plotoni della divisione Hermann Goering, acquartierati, provvisoriamente, a Pontecuti, ai piedi di Todi, in quelle ore avevano fatto irruzione in molti cascinali di campagna e razziato quanto ritenevano fosse utile per la loro ritirata, in particolare, cereali, vino e altri generi alimentari.
Per il trasporto del bottino i tedeschi pensarono bene di utilizzare dei poveri civili, strappati alle proprie case e ai propri affetti. Erano tutti contadini del tuderte: Mariano Fogliani di 35 anni, Natale Brizioli di 23 anni, Ambrogio Ruggeri di 57 anni, le donne Elisa Ruggieri 50 anni, Virginia Ruggeri 50 anni e una bambina, Laura Ruggieri. Tutti furono costretti, con ordini imperiosi e brutali e sotto la minaccia delle armi, a caricarsi sulle spalle, il bottino razziato dalle truppe e a trasportarlo per diversi chilometri, in una giornata di metà giugno, calda e afosa, fino a Pian di San Martino ai bordi della Tiberina 3 bis, la via più importante, all'epoca, per salire verso nord.
"Il lavoro rende liberi" - recitava la scritta, ironia del destino, sulla porta d'ingresso del lager nazista di Auschwitz. Chissà se qualche soldataccio della Goering o qualche tronfio ufficiale avrà ironizzato, sullo stesso concetto, mentre i semplici e paciosi contadini umbri trasportavano, sudati, ansanti, spaventati anche, il carico razziato dalle truppe d'occupazione.
"Li ho visti avanzare, carichi come bestie da soma" - raccontò, nel dopoguerra, un testimone.
La faticosa prestazione offerta dai mezzadri non bastò ai poveretti per salvare la vita. Uno dopo l'altro vennero assassinati a fucilate, in località Pian di San Martino (pare il 14 giugno). Solo Laura si salvò: qualcuno dei carnefici la spinse via sottraendola alla sanguinosa mattanza.
Anche questo eccidio, agghiacciante quanto gratuito, è rimasto impunito. Nessuna indagine approfondita, nessun accertamento valido per attribuire le responsabilità almeno della linea di comando della Herman Goering Panzer Division. Niente di niente. Anche il feldmaresciallo Kesselring, nonostante fosse caduto, al momento della resa della Germania, nelle mani alleate e fosse stato condannato a morte al processo di Norimberga, si vide, a pochi mesi di distanza, commutare la pena capitale nell'ergastolo (per intervento, si dice, del governo britannico). Così neanche sette anni dopo la fine del conflitto (nel 1952) il feldmaresciallo tornò libero e morì, otto anni più tardi, a Bad Nauheim, all'età di 75 anni. E non rinnegò mai la sua lealtà al Fuhrer, ad Adolfo Hitler, che, oltre alle promozioni, gli aveva concesso persino la Croce di ferro.

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