di Carlo Cianetti

Con la rielezione al Quirinale di Giorgio Napolitano finisce anche il Partito Democratico, così come era stato concepito da Veltroni nel 2008. Termina il grande equivoco che ha tenuto bloccato per 5 anni il fronte progressista e socialista. La fusione a freddo fra ex-democristiani ed ex-comunisti è fallita, lo hanno stabilito le analisi del sangue che sul corpo ansimante del Pd sono state fatte in occasione della scelta del Presidente della Repubblica.

Nei suoi 6 anni di vita il Pd anziché metabolizzare la fusione fra anime diverse, ha visto crescere le intolleranze interne e le correnti. Doveva essere un partito leggero, movimentista, inclusivo e al tempo stesso autosufficiente e quindi egemone. Si è rivelato un partito arrogante, che ha guardato con alterigia tutte le esperienze maturate alla sua sinistra, un partito spesso vendicativo, incapace di dialogare seriamente e con atteggiamento paritario con i movimenti espressi dalla società civile. 

Insomma un padrone severo della scena politica che fa riferimento al centrosinistra, ma incapace di divenire dominante. Se si escludono le elezioni regionali, di fatto il Pd ha perso tutte le grandi battaglie. Ha sempre vinto Berlusconi che sa parlare molto meglio il linguaggio della demagogia, che sa essere "concavo e convesso", che sa interpretare perfettamente i bisogni e le pulsioni degli italiani. Anche la rielezione di Napolitano, alla fine, è stata ideata e condotta dall'indomito Cavaliere. 

Le rotture, le sconfitte portano spesso (non sempre) alla rigenerazione e speriamo che a questo punto chi, fra gli ex-Pd, vuole abbracciare il modello neo-capitalista che ha come riferimenti (con sfumature diverse) i vari Monti, Renzi, Berlusconi, se ne vada con Renzi e chi invece ritiene che sia il caso di restituire priorità assoluta ad un progetto di giustizia sociale, che riporti al centro dell'attenzione il lavoro e i lavoratori, i pensionati, i disoccupati, la redistribuzione dei redditi, la tutela dell'ambiente e del territorio, cominci a darsi da fare per riavviare un progetto costituzionale della sinistra. 

In Parlamento, rispetto alla precedente legislatura, ci sono i rappresentanti di SEL e del M5S: non possono che essere punti di riferimento per chi ha voglia di impegnarsi nella costruzione di una costituente di sinistra. In particolare SEL, dopo la vicenda per le elezioni del Presidente della Repubblica, ha rotto ogni indugio e ogni equivoco: non è più il partito del possibile inciucio con Monti, non è più la ruota di scorta di quel Pd che non ha mai smesso di dare pacche sulle spalle al PDL. Ora quindi si deve ricominciare mettendo da parte le ruggini, i mille distinguo e i mille puntini sulle "i". C'è un Paese che ha bisogno di rimettersi in carreggiata, c'è un popolo che chiede di incontrarsi, di esprimere problemi e idee, ci sono tanti cittadini e cittadine che hanno bisogno di sperare. Bisogna ricreare una sinistra che alle prossime elezioni si presenti unita e capace di determinare il futuro dell'Italia.  
 

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