di Letizia Cerqueglini- mediorientalista

Venti di cambiamento soffiano da due anni sul Mediterraneo, un’area da osservare nel suo complesso, come un organismo unitario. L’ultimo segnale: l’esito elettorale in Israele e in Italia. Dopo la maggioranza stentata del 2009 di Tzipi Livni/Kadima, nella tornata 2013, il presidente Shimon Peres, affida ancora a Netanyahu la formazione del governo. Neanche questa volta il sistema proporzionale israeliano registra numeri generosi per partiti e movimenti legati a figure tradizionali della politica, accelerando un trend di anni: Netanyahu, con il Likud, Livni, che nel 2012 fonda HaTnuah, “Il movimento”, espressione politica centrista, Kadima, il Partito Laburista, Israel Beytenu di Liberman, nessuno ha ottenuto il risultato precedente.

Chi invece ha ottenuto il 19% al primo colpo è Yesh Atid “C’è un futuro”, fondato nel gennaio 2012 da Yair Lapid, detto “Il bello”, giornalista, showman, attore e regista cinquantenne, reporter di denuncia ed esperto di economia- dal 1991 curatore della rubrica settimanale “Dove sono i soldi?” sul quotidiano Yediot Ahronot. Entrato in politica al grido “Banu Leshanot. Siamo venuti per cambiare”, si batte per una più equa distribuzione della ricchezza e degli oneri della difesa: meno investimenti nella guerra, meno sostegno ai coloni, servizio militare anche per i religiosi. Tuttavia non ha vinto il tema del laicismo: un altro risultato importante al primo colpo infatti va al ricco sionista religioso e supertecnologico Bennet, con HaBayt HaYehudi, La casa ebraica, che- dichiara- non entrerà nel governo se non ci sarà anche Lapid. Immediato il paragone con il risultato italiano. L’elettorato israeliano, come quello italiano, non vota più secondo gli schieramenti ideologici, ma neppure cerca nuove formule del fare politica: vincono i volti nuovi, che hanno dimostrato competenze specifiche e attenzione ai problemi interni del paese, che, ricordiamo, nel 2011 fu teatro di manifestazioni di indignados che chiedevano ai politici di non distrarli con la guerra e offrire prospettive concrete per il futuro. Netanyahu ora deve formare un governo: Obama minaccia di non passare da Israele nella visita di marzo. Se si andasse a nuove elezioni Netanyahu e Liberman ne uscirebbero ancora più indeboliti, tuttavia il leader del Likud è più a disagio nel chiedere l’alleanza a Yair Lapid che a Tzipi Livni, nata nel 2001 nelle file del suo stesso partito e uscita l’anno scorso dalla coalizione di governo per la mancata attuazione della delibera della Corte Suprema per il servizio militare ai religiosi.

 

Tzipi Livni, Avigdor Liberman, Benjamin Netanyahu rappresentano rispetto a Bennet e Lapid la vecchia classe dirigente, i “signori della guerra” nati nelle file dell’esercito, che giocano la loro campagna elettorale su temi obsoleti, che hanno perso il contatto con i bisogni della classe produttiva. La situazione di Israele, tuttavia, è diversa da quella italiana o degli stati arabi che hanno espresso rivolte popolari. Israele sarà a breve esportatore energetico grazie ai giacimenti di gas recentemente scoperti e in parte già produttivi. Nonostante la posizione di vantaggio acquisita, gli israeliani non hanno premiato la politica belligerante della vecchia guardia, optando per nuovi scenari di coesistenza di due stati grazie alla compartecipazione della ricchezza. Sembra che al di là di qualsiasi divisione, etnica, religiosa, statale e politica, il Mediterraneo converga su un desiderio di progettualità a lungo termine per il futuro, attraversato forse da un’ispirazione di socialismo reale. Lo stesso che anche i paesi arabi in rivolta hanno chiesto, sfidando l’immobilismo cui i loro leader li hanno costretti per troppo tempo. Il problema di Netanyahu non sono solo i nuovi ed enigmatici protagonisti della politica nazionale. Obama chiede la formazione di un governo e l’apertura di negoziati con la Palestina: il quotidiano Maariv rivela che Netanyahu starebbe optando per la liberazione di 123 militanti di Al-Fatah detenuti da prima di Oslo-1993, la consegna di munizioni alle forze dell’ANP e di alcune aree occupate della Cisgiordania. Abu Mazen ha chiesto tuttavia anche l’interruzione della costruzione di nuove colonie e la liberazione di detenuti palestinesi nell’ordine di migliaia. Ricordiamo che ormai la Palestina, dallo scorso dicembre, è uno stato osservatore dell’ONU.

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