di PAOLO BRUTTI

Il decreto dell'ex ministro Clini permette ai rifiuti trasformati in combustibile di uscire dai confini regionali, con la possibilità di essere trasportati e bruciati altrove. L'entusiasmo che questa norma ha suscitato in molti è però fuori luogo. Nello stesso decreto si dice che le balle di rifiuti trasformati in Css (il combustibile solido secondario) vanno trattate con le stesse precauzioni usate per il materiale nucleare. Risultato, non si è certo scatenata una rissa per accedere a questo business.

Secondo alcune stime occorrerebbero 180 euro per ogni tonnellata di Css da conferire al bruciatore, mentre destinarlo in discarica costa la metà. Inoltre, per produrre Css a norma, occorrono impianti a freddo che tolgano ogni traccia biologica. In pratica solo il 10-20 per cento della massa originaria di rifiuti potrebbe produrre energia. Nel nord Europa, dove la raccolta differenziata funziona, stanno chiudendo i termovalorizzatori per mancanza di combustibile. I cementifici hanno invece autorizzazioni per bruciare combustibili fossili e non rifiuti.

Alla resa dei conti produrre Css non è un affare. Con un livello spinto di recupero l'Umbria può ricavare  meno di 50 mila tonnellate l'anno di residuo secco da bruciare, una quantità insufficiente ad alimentare anche un solo termovalorizzatore. 

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