di Vito Nocera.

Leggo di previsioni economiche terrificanti che, se confermate , getteranno il Paese in una crisi economica e sociale tremenda.
Del resto come meravigliarsi.
Il nostro e' un Paese che gia' zoppicava, l'epidemia, come una radiografia, impietosa e crudele, ne sta fotografando in chiaro ogni male.
Puo' suonare retorico ma il Paese profondo nell'allarme sanitario ha risposto.
Non e' poco per un tessuto civile da tempo così tanto stressato e nervoso.
Ora si apre la fase piu' difficile e dura.
Il suicidio dell'imprenditore di Napoli forse nasce da problemi personali piu' profondi, e pure e' un segnale, perfino sinistramente simbolico oltre che doloroso, che ci lascia piuttosto inquieti.
Fino ad ora il governo non ha demeritato, così come la gran parte dei governi regionali, e l'uno e gli altri sono stati premiati da un consenso sincero. E siccome nulla assicura che dalla epidemia siamo fuori e' bene continuare a dare loro fiducia.
Il rilancio, la ricostruzione, la ripartenza - la si chiami come si vuole - e' però di sicuro altra cosa.
Qui mi preme essere chiaro. Non sono contrario al governo di Conte, e non potrei esserlo di un governo con dentro una parte di quella sinistra in cui un po' mi riconosco.
E so bene che allo stato le alternative possibili oltre che impraticabili sono discutibili o peggiori.
Tuttavia, le tensioni, i contrasti, la confusione in cui l'esecutivo si trova, ci obbliga ad analizzare le cose e guardare al futuro.
Si intrecciano tra loro due aspetti.
Il primo il ritardo insidioso con il quale si procede ai provvedimenti che dovrebbero recare al Paese, alla sua parte piu' colpita, un ristoro immediato.
Questo deficit, che so essere organizzativo ma anche di risorse e di indirizzo politico sulla loro destinazione, rischia di creare sacche di pericoloso scontento.
A questo deficit congiunturale, che poi nella sostanza rinvia egualmente a nodi grandi ( l'alto debito pubblico e il rapporto con l'Europa in primis ), si intreccia la condizione ordinaria del Paese che ora obiettivamente reclama un salto di passo.
Il ministro Provenzano, che dichiara un giorno si e l'altro pure che il vincolo del 34% delle risorse al Mezzogiorno non si tocca, stava intanto per farsi passare sotto il naso la rinuncia a tale vincolo ( in verità gia' praticato senza troppo strepitare ai tempi lontani del governo D'Alema) scritta nero su bianco in un documento senza padri .
Sull'istruzione di ogni ordine e grado, gia' precaria, si e' abbattuto il macigno della sospensione totale non surrogabile dalla serieta' con cui tanti docenti lavorano in rete.
Servirebbero investimenti rapidi per consentire riapertura in sicurezza.
Stessa cosa per la pubblica amministrazione gia' stremata negli organici e nelle strutture. Di cui la Sanità e' in fondo un anello, il principale, e i cui problemi qualcuno ha pensato di caricare ingenerosamente su Regioni che invece hanno sopportato lo sforzo maggiore.
E poi il lavoro, la produzione, la sua organizzazione. Le tutele per precari italiani e immigrati. E la sicurezza sul lavoro.
L'altra sera ho schiumato sgomento e amarezza nel sentire che una fabbrica di Ottaviano era esplosa.
E alla mente mi e' tornata la Flobert di 45 anni fa e la scia di coscienza che quella tragedia produsse nelle nostre giovanili speranze.
Non so se il virus incoraggera' a intervenire sui tempi di lavoro in armonia con quelli delle citta', regolare tutto in altro modo.
Ma per chi ha consumato tante suole di scarpe inneggiando alla riduzione d'orario ( a parita' di salario) questa e' una occasione da Dio.
Con la spinta che cresce in direzione dell'intervento pubblico piu' d'uno appare intimorito come se stesse riapparendo lo spettro del giovane Marx.
Stiano tranquilli, forse puo' bastare anche Keynes. Dovunque oggi ne fanno largo uso ( perfino Trump ) ma sul come e per cosa utilizzarlo le idee non sono le stesse.
Un paio di sere fa il bel film su Di Vittorio ci ha regalato una traccia.
Il suo Piano del Lavoro , lanciato agli albori degli anni '50 , anche se non ebbe applicazione automatica, galvanizzo' il movimento operaio e incise su tutte le sue successive conquiste.
Di un metodo con un respiro così oggi neppure a parlarne.
Eppure, nelle forme adeguate alla condizione di oggi, potrebbe rimettere in moto energie sopite di un corpo sociale frantumato e incupito. E anche richiamare a raccolta una intellettualita' demotivata e dispersa.
Il clima di concordia politica invocato da Mattarella non c'e' ma non per questo la coalizione al governo e' al suo interno piu' coesa.
Forse servirebbe rovesciare il discorso.
Piuttosto che una coalizione paralizzata e rissosa e per forza di cose chiusa a riccio all'esterno, perché non un vero progetto di cambiamento importante e per questo, se vincente, anche piu' in grado di offrirsi al dialogo istituzionale piu' largo?
Per un progetto cosi pero' serve uno scatto a sinistra, un conflitto vero, sollecitare un movimento di massa importante.
Ripensare al futuro.
Il governo del presente non puo' sussumere tutto. Pena al conto pagare, come gia' avvenuto altre volte, il prezzo maggiore.
Ma occorre far presto, prima che sia troppo tardi.
Diversamente, continuando solo a presidiare il fortino assediato , presto o tardi arrivera' l'alternativa dall'altro lato.
E, o quella discutibile o quella peggiore, quale che sia per la sinistra sara' una nuova rovinosa sconfitta.

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