di Anselmo Pagani.

Il Maestro “Ioannes Bellinus” (come recita il cartellino leggibile sulla base del parapetto di quello che rappresenta il capolavoro assoluto della sua arte ritrattistica) ce lo presenta quasi frontalmente, mentre fissa un punto indefinito dell’orizzonte, così rimarcando la sua distanza dall’osservatore.
L’effetto ottenuto è che, prima ancora che un uomo, ci viene proposta l’importantissima carica pubblica che egli ricopre, la più alta del governo della Serenissima, qui riprodotta con una precisione quasi fotografica.
L’attenzione dell’osservatore infatti risulta attratta dal caratteristico copricapo “a corno” che il personaggio porta in testa, come pure dal ricco abito di broccato dorato, del quale l’artista riesce a rendere persino l’effetto rigato, coi suoi vistosi bottoni.
Subito dopo, si nota il volto di un uomo dalla pelle glabra, con gli occhi infossati e la bocca sottile e quasi priva di labbra, raffigurato con un’espressione assorta e pensosa, sottolineata dal lieve inarcamento del sopracciglio sinistro.
Imperturbabile, ispira calma e sicurezza facendoci capire che non dobbiamo temere, né preoccuparci di nulla, perché “lui” ha la situazione in pugno e sa sempre cosa fare, in ogni frangente.
Così il pittore veneziano Giovanni Bellini raffigura il suo quasi coetaneo Leonardo Loredan, eletto alla carica di Doge il 2 ottobre del 1501 all’età di 65 anni.
Secondo la testimonianza del cronista Marin Sanudo, amico di famiglia, Loredan era un uomo “macilento de carne, tutto spirito, de statura grande e pocha prosperità. Vive con assai regola, è assai collerico, ma savio al governo”.
Invero estrema magrezza, moderazione in ogni cosa ed assennatezza erano sempre stati i tratti distintivi di questo appartenente ad una famiglia benestante, fin da quando, poco più che ragazzo, incarnava uno di quei non rarissimi casi di uomini che paiono già vecchi, anche se l’anagrafe attesta il contrario, per poi però quasi cristallizzarsi nell’aspetto, tanto da sembrare insensibili al trascorrere del tempo.
Dotato di un’intelligenza acuta e di grande fiuto politico, a soli 19 anni d’età il nostro scalò il primo gradino del lungo e non facile “cursus honorum” della Serenissima, entrando a far parte della “Avogaria”, l’Avvocatura di Stato veneziana.
Nell’arco di quattro decenni sarebbe poi diventato “Camerlengo del Comun”, “Provveditore al Sale”, “Savio del Consiglio” e infine Podestà prima di Padova e poi di Cremona, trovando intanto il tempo di sposarsi e mettere al mondo una nidiata di ben nove figli.
Nel corso della sua carriera politica rimase a lungo una sorta di gregario, un “buon secondo” come diremmo oggi, perché c’era sempre qualcuno più bravo o meglio introdotto di lui che lo sopravanzava d’un gradino.
L’occasione della vita gli capitò però nel 1501, quando l’improvvisa morte del suo più temibile concorrente all’elezione dogale di quell’anno, Filippo Tron, gli spalancò la strada per diventare il 75° Doge della Repubblica di Venezia, seppure soltanto per una manciata di voti ed al sesto scrutinio, il cui esito fu forse determinato da qualche “bustarella” fatta scivolare nelle tasche giuste, al momento opportuno.
I primi anni del suo governo furono caratterizzati da un’infilata di successi politici e militari, fra cui la ritrovata pace con gli Ottomani, la conquista “manu militari” di alcuni porti romagnoli sottratti al Papa, oltre che delle città di Trieste, Gorizia e Fiume “soffiate” a Massimiliano d’Asburgo, la trasformazione infine dell’Adriatico in una sorta di “lago” veneziano.
Tanti successi finirono per destare invidie e rancori non solo in tutta la penisola, ma anche all’estero, tanto che Francia, Impero Asburgico ed una serie di Stati italiani, con la benedizione di Papa Giulio II che non mancò di scagliare il suo interdetto sulla città lagunare, si coalizzarono in funzione anti-veneziana nella Lega di Cambrai.
Conseguenza di questo accordo fu la disastrosa sconfitta subita dai Veneziani contro l’esercito alleato nella battaglia di Agnadello il 14 maggio del 1509, nell’apprendere la quale il Loredan rimase “quasi morto et di mala voja”.
Ripresosi da un simile choc, il Doge ritrovò però lo spirito necessario per spronare i suoi connazionali alla riscossa in un memorabile discorso al Senato. Riuscì così a rimettere in fretta e furia in piedi un esercito nel quale militarono anche due dei suoi stessi figli, col quale poco a poco seppe riconquistare quasi tutti i territori persi, difendendo l’indipendenza e l’onore della Repubblica.

Piegato da tanto stress e fatalmente indebolito dalle conseguenze di una brutta caduta accidentale, il Doge Loredan si congedò da questo mondo nella notte fra il 20 e il 21 giugno del 1521, per essere tumulato nella Chiesa di San Zanipolo, una sorta di Pantheon della Serenissima, dove nel 1572 gli eredi gli fecero erigere un sontuoso monumento funebre in marmo di Carrara, opera di Girolamo Campagna, che ce lo presenta nell’atto “di alzarsi dal trono dogale e gettarsi arditamente a difesa di Venezia contro l’Europa congiurata a Cambrai”.
Della serie: un uomo solo al comando!

Immagine: “Ritratto del Doge Leonardo Loredan” di Giovanni Bellini, 1501 circa, “The National Gallery”, Londra.
 

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