L'editoriale di Gian Filippo Della Croce/ Ricominciamo da tre
Eravamo abituati a vederli tutti e tre insieme, per anni, anni nei
quali le lotte nel mondo del lavoro per ottenere migliori condizioni di
vita e di sicurezza nelle fabbriche, nelle amministrazioni pubbliche,
nelle scuole, furono anche aspre, ma alla fine vittoriose, e la
vittoria veniva grazie all’unità, quell’unità che i tre pur conservando
i propri punti di vista erano riusciti a raggiungere: un traguardo
importante per tutti i lavoratori italiani. La “triplice” come veniva
chiamata questa formidabile unione d’intenti tra CGIL,CISL, UIL divenne
ben presto una grande realtà , protagonista dello sviluppo e della
modernizzazione del Paese. Ma come accade sempre più spesso, in questo
inizio di nuovo millennio, che appare ancora come un proseguimento di
quello appena trascorso, soprattutto del suo “secolo breve”, il
Novecento, che sta dimostrando nei fatti che breve non lo è stato per
niente e che anzi vuole continuare ad esistere nelle nostre menti e
nelle nostre coscienze, ci si svegli al mattino e ci si accorge che
qualcosa è cambiato, qualcosa a cui eravamo abituati, che costituiva un
punto fermo per tutti i discorsi e le vicende che riguardassero il
lavoro. Così una mattina ci siamo svegliati e abbiamo scoperto che è
scomparsa l’unità sindacale, che la “triplice” non c’è più, che i
lavoratori si sono divisi . In questo nuovo millennio assolutamente
mediatico, i media appunto, hanno immediatamente rimandato l’immagine
di una unità sindacale dilaniata da contrapposizioni che nate da un
settore strategico dell’industria, i metalmeccanici, hanno alla fine
coinvolto le confederazioni, e ora come mi dice un sindacalista della
CGIL, qualcuno non ti saluta più e a firmare gli accordi ci si va
separatamente. Cosa è accaduto? E soprattutto cosa accadrà di qui in
avanti di fronte alle grandi sfide della globalizzazione nei confronti
del mondo del lavoro? Come saranno affermati i diritti di chi lavora,
come diventerà il confronto con le controparti,? Fra i tanti
cambiamenti, trasformazioni e trasformismi, ai quali ci sta abituando
il nuovo millennio, questo è il cambiamento che sicuramente milioni di
lavoratori non avrebbero voluto mai vedere.
Al fondo della questione c’è anche lo scontro sulla rappresentanza, chi
rappresenta chi e come rappresenta e soprattutto quanto rappresenta, a
tale proposito in anni non sospetti il problema emerse più volte ma non
se ne fece nulla, ovvero in anni di grande unità, il problema della
rappresentanza era una delle poche cose non condivise dai soci della
!triplice”. Oggi la questione si ripropone in uno scenario certamente
più complicato, di fronte alla realtà inquietante della globalizzazione
che ha trasformato luoghi, logiche, modalità del lavoro, mettendo in
discussione quasi tutto quello che le lotte sindacali unitarie avevano
conquistato dagli anni’70 del secolo scorso ad oggi, il tutto aggravato
dalla crisi finanziaria mondiale,, ma il tavolo per discuterne, cioè
quello unitario, è saltato. Adesso la vera posta in gioco , mentre di
fatto stanno cambiando le “regole d’ingaggio” sindacale, è quella
dell’egemonia nella “nuova fabbrica”, che è già molto diversa dalla
fabbrica dove l’unità sindacale si era sviluppata e cresciuta e anche
la scuola e la pubblica amministrazione sono diverse. Inoltre vengono
al nodo vecchie alleanze politiche troppo ingombranti e nuove alleanze
altrettanto ingombranti. Ma i contratti separati si sono già firmati,
siglando la fine dell’unità e scavando un solco sempre più profondo fra
la CGIL e CISL e UIL. La verità è che la vecchia unità non basta più ,
ma basterà una legge che stabilisca chi e a quali condizioni può
firmare i contratti, per riparlarne con altre modalità e ricucire i
rapporti fra le tre confederazioni? In un’epoca mediatica come questa,
la visibilità è indispensabile, e questo fatto mette automaticamente in
discussione la “vecchia” unità, basta guardare in Umbria alle
differenti posizioni sui temi dello sviluppo e dell’approccio alle
crisi dell’apparato produttivo regionale, e tra queste a quelle crisi
senza speranza che si chiamano Merloni, Basell eccetera. Affrontare il
“nuovo” recuperando “antiche” virtù come l’unità sindacale può e deve
essere possibile.: ricominciamo da tre.
Gian Filippo Della Croce
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