Lavoro, c'è pochissimo oro in quello che luccica
di Sandro Roazzi
Sullʼoccupazione il Governo continua a vedere il bicchiere mezzo pieno. E può anche essere compreso, ma non fino al punto di vedere un futuro roseo come si potrebbe essere portati a credere. A febbraio, secondo lʼIstat, la disoccupazione scende allʼ11,5% dallʼ11,8% di gennaio ed ancor più cala quella giovanile al 35,2% (ovvero un significativo -1,7%). Un dato che va accolto come un segno di speranza, ma senza avventurarsi in entusiasmi davvero fuori luogo. Lʼoccupazione resta stabile su gennaio, mentre cresce ovviamente sullo stesso mese di un anno fa. Ma la tenuta, ora, si deve a due fattori poco entusiasmanti: si espande nuovamente il lavoro a termine e soprattutto la tenuta dell’occupazione si deve in larga parte agli ultracinquantenni, quei lavoratori che non possono andare in pensione. È impressionante constatare come, se i giovani al lavoro (ma quale lavoro?) fino a 24 anni sono aumentati di 15 mila unità, le classi di età che dovrebbero essere la punta di diamante dellʼoccupazione, vale a dire quelle che arrivano dai 25 anni fino alla soglia dei 50, registrano flessioni per complessive 124 mila unità. Ancora più eclatante, poi, è il dato positivo degli ultracinquantenni: +402 mila unità. Uno scenario assai poco equilibrato, che dovrebbe far meditare più che spingere sullʼacceleratore dellʼautocompiacimento.
Dove porta infatti questa tendenza senza politiche del lavoro incisive, senza investimenti forti, senza realizzazioni rapide, senza unʼeconomia del sud che riparte davvero? Il rischio è quello di creare un’enorme sacca di lavoro maturo senza sbocchi, di perdere professionalità e posti di lavoro nelle fasce di età che una volta erano le protagoniste dellʼeconomia e della produzione, di illudere tanti giovani per qualche anno, ma senza prospettive davvero stabili. Lʼattuale Governo fa e farà quel che può, ma è indubbio che dovrebbe almeno prestare attenzione ad un altro dato per nulla tranquillizzante: quello che attesta la crescita degli inattivi e che anche per tale motivo si riduce il valore della diminuzione della disoccupazione. Se aumenta il numero di chi non cerca lavoro perché pensa di non trovarlo, questo vuol dire che il clima di fiducia nel Paese non sta risalendo su questo versante. Ed è un problema col quale confrontarsi senza perdere tempo. E non ognuno per conto suo. Anche perché il clima sociale si sta deteriorando visibilmente mentre il palcoscenico della politica è tuttora affollato di litiganti ma è povero di chi dialoga, propone e si interroga davvero sul futuro.
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