di Vincenzo Vita

 

 

«Oh oh oh oh che cen­trat­tacco!» can­tava alla fine degli anni Cin­quanta il Quar­tetto Cetra. E così sem­brano fare molti dei par­te­ci­panti alle sva­riate pun­tate della con­ve­gni­stica sulla «società digi­tale», appena viene offerto qual­che dato appa­ren­te­mente esal­tante o si appa­lesa qual­che nuovastart up. Eppure, l’Italia naviga nella clas­si­fica bassa dei paesi euro­pei nella dif­fu­sione della banda larga e ultra­larga.
Tanto che qual­che pre­oc­cu­pa­zione emerge nella stessa inda­gine svolta dai due organi vigi­lanti di set­tore (Auto­rità per le comu­ni­ca­zioni e Antitrust).

Ebbene, in tale con­te­sto, tra impro­ba­bili eufo­rie e rei­te­rate gia­cu­la­to­rie – i ritardi non sono frutto di meri errori, bensì della scelta pan­te­le­vi­siva degli anni Ottanta/Novanta — ecco sta­gliarsi uno dei grumi veri del capi­ta­li­smo cogni­tivo, ben illu­strato dal volume curato da Mat­teo Pasqui­nelli «Gli Algo­ritmi del Capi­tale», appena recen­sito da il mani­fe­sto. Ecco gli algo­ritmi, il luogo pri­vi­le­giato della cir­co­la­zione dei saperi nell’era informazionale.

Il pri­mato sta in capo ai cosid­detti «Over the top», Goo­gle innan­zi­tutto. Il grumo è pla­sti­ca­mente rap­pre­sen­tato dalla con­tesa tra la Fede­ra­zione degli edi­tori e la società di Page e Brin. Goo­gle, aggre­ga­tore di con­te­nuti, è sul banco d’accusa: paga le tasse dove ritiene più con­ve­niente e sfrutta gli arti­coli dei gior­nali per costruire la sua for­mi­da­bile biblio­teca digitale.

In Fran­cia governo ed edi­tori hanno otte­nuto un paga­mento una tan­tum di 60 milioni di euro, in Spa­gna lo scon­tro è aperto, come pure in Ger­ma­nia, dove fu varata una legge nel 2012. In Ita­lia che accade?
Solo qual­che inter­vi­sta, tra cui spicca quella recen­te­mente rila­sciata a la Repub­blica dal pre­si­dente della Fieg Mau­ri­zio Costa, molto difen­siva e disan­co­rata da un pro­getto gene­rale.
Serve un sapiente governo della fase di pas­sag­gio, quando le ragioni vanno rap­por­tate ai tempi di un’altra sto­ria in fieri.

Prima che diventi troppo tardi è oppor­tuno occu­par­sene, imma­gi­nando un com­pro­messo serio ed avan­zato tra la carta stam­pata e la rete: et et, non aut aut.
Senza un guizzo crea­tivo, in cui le stesse forme clas­si­che del diritto meri­tano una rivi­si­ta­zione, si rischia un falso com­bat­ti­mento tra due torti.

Da un lato, i gruppi edi­to­riali impau­riti dalla crisi delle ven­dite e della rac­colta pub­bli­ci­ta­ria che sup­pon­gono di allon­ta­nare il bara­tro chiu­den­dosi nella cit­ta­della asse­diata, dall’altro un’azienda nata solo nel 1998 e già descritta una decina di anni fa dai due gior­na­li­sti del Washing­ton Post David Vise e Mark Mal­seed: «Fare tec­no­lo­gia, fare cul­tura, fare soldi, tra­sfor­mare il mondo».

Non è un gioco. «E’ il capi­ta­li­smo, bel­lezza!», per para­fra­sare la cele­bre bat­tuta Hum­ph­rey Bogart nel famoso «Dead­line» dedi­cato pro­prio alla fab­brica delle notizie.

E Fede­rico Ram­pini in «Rete padrona» (2014) ci avverte che l’età dell’adolescenza è pre­sto finita, essendo emersa la bru­ta­lità dell’archiviazione dei dati di milioni di per­sone spesso ignare. E gli utenti-navigatori sono «pro­fi­lati» per il busi­ness pubblicitario.

Insomma, dalla pri­vacy al diritto di autore alla neu­tra­lità della rete for­te­mente richia­mata nei giorni scorsi da Obama: il filo con­dut­tore della cit­ta­di­nanza digitale.

Men­tre si taglia il Fondo per l’editoria e si intacca il tesoro tec­nico della Rai,maiora pre­munt. E’ que­sta, se ci è per­messo, l’agenda digitale.

E per­ché non si uti­lizza l’ultimo scor­cio del seme­stre ita­liano di pre­si­denza dell’Ue per istruire la vera scelta alter­na­tiva: un algo­ritmo euro­peo, auto­nomo e indipendente?

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