Fotografia di un disastro sociale

di Dino Greco
Produzione industriale in caduta libera, bollettino dei fallimenti in crescita esponenziale, investimenti al palo, blocco del credito alle famiglie e alle imprese, disoccupazione all’11 per cento (ma quella dei giovani sfonda quota 37), più di un miliardo di ore di cassaintegrazione, consumi ai minimi storici (dall’esordio della Repubblica), impennata inflazionistica, carico fiscale esorbitante (Imu, Iva e imposte indirette di ogni genere e tipo), congelamento delle già infime retribuzioni (per legge nel pubblico impiego, in via di fatto nel settore privato) e stop alla rivalutazione delle pensioni, monumentale manomissione del sistema previdenziale, degli ammortizzatori sociali, dei diritti del lavoro. E poi otto milioni di persone costrette a sopravvivere con redditi inferiori alla soglia della povertà.
Questo – per approssimazione – il quadro di un’Italia prostrata dalla recessione, esito di una sciagurata strategia di tagli alla spesa pubblica, ad ogni branca del welfare e di un madornale analfabetismo nella gestione delle politiche industriali, subappaltate per intero a rapaci potentati finanziari e imprenditoriali.
Questo scempio continua a convivere con una prodigiosa evasione fiscale che non accenna in alcun modo a diminuire, incoraggiata com’è da una sostanziale inerzia del governo, al di là dei proclami e degli spot pubblicitari confezionati a beneficio dell’immagine.
Eppure l’ineffabile Mario Monti – come il manzoniano don Ferrante impegnato a negare l’esistenza della peste sino ad un attimo prima di morirne – va dicendo urbi et orbi che questa è la via maestra per uscire dalla crisi e che se sino ad ora non vi è stata crescita è perché - udite udite - la sinistra (ma quale, dove, quando?!) avrebbe soffocato “efficienza, produttività e competitività”.
Ma quello dell’uomo della Trilateral, dello spregiudicato consigliere di Goldman Sachs International, è un linguaggio vecchio come il cucco, livida espressione di un cinismo di classe messo in pratica negli ultimi trent’anni in gran parte del mondo e responsabile delle tragiche disuguaglianze e dei misfatti politici nei quali si consuma la più grande crisi sistemica della modernità.
C’è di nuovo che l’ideologia montista, venduta sul mercato della chiacchiera come un limpido prodotto della scienza economica, mostra evidenti crepe e la credibilità del nostrano Mago di Oz si propone per quello che in effetti è: un servizio reso ai proprietari universali che stanno depredando il pianeta e la stragrande parte della popolazione che lo abita.
C’è di antico che il Partito democratico e i suoi genuflessi alleati si abbevera alla stessa fonte, avendo da tempo dismesso – perché considerato una romantica velleità, quando non un pericoloso estremismo – qualsiasi progetto di trasformazione dei rapporti sociali. Esercitatevi nello sforzo di rintracciare qualche seria distinzione fra la cosiddetta Agenda Monti e il programma del Pd, consegnato alla “Lettera di intenti dei democratici e dei progressisti”: scoprirete facilmente che il compito è improbo e che al netto di qualche concessione retorica non c’è nulla di sostanziale che vi si discosti. Ciò che spiega ampiamente il destino comune che legherà nel governo del paese i due schieramenti che si presentano divisi nella competizione elettorale.
C’è di buono, infine, che il cerchio non si chiude qui. Perché per quanto frammentata e proveniente da storie e culture politiche diverse, prende forma una sinistra non omologata al pensiero dominante che sembra avere trovato la forza di superare antiche diffidenze e autolesionistici sospetti, per unirsi intorno ad un progetto che rovescia i dogmi liberisti e prova a raccogliere quanto di più intelligente e propositivo ha prodotto il conflitto sociale che ha attraversato il paese in questi anni.
Non sarebbe onesto sostenere che tutto quanto ora quadri, che ogni contraddizione sia sciolta e che dell’eterna diaspora della sinistra sia stato ormai elaborato il lutto. Ma è certo che un passo, importante se non ancora decisivo, è stato compiuto. Parafrasando Gramsci: il vecchio ancora non muore, ma il nuovo comincia a nascere.
fonte: Liberazione.it

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