La fabbrica sprofonda con il suo territorio
L'imprenditore Giovanni Porcarelli, dopo poco meno di una settimana ha ritirato i 400 licenziamenti della JP. Industries. Bene! Sicuramente ha influito la positiva ed immediata reazione unitaria di lavoratori e sindacati. Saremmo però estremamente superficiali se ci limitassimo a questo dato, che ci riporta, come nel gioco dell'oca, esattamente alla casella di partenza di una settimana fa.
Ed una settimana fa, precisamente come oggi, la situazione della fascia appenninica era ed è drammatica. In quest'area di circa 70mila abitanti, nell'arco degli ultimi 8 anni si sono persi 4500 posti di lavoro. Non c'è stata solo la crisi dell'Antonio Merloni, che contava 3200 dipendenti sul versante umbro e marchigiano, ma anche quella del cemento, che ha visto ridimensionarsi di oltre la metà la produzione nei 2 cementifici di Gubbio con ricadute pesanti sulle attività collaterali, le difficoltà strutturali del polo ceramico di Gualdo Tadino e la secca riduzione di tutte le attività, dall'edilizia al commercio e ai servizi. Se dopo 8 anni, rispetto ad una delle più grandi crisi dell'Italia si risponde con un'attività balbettante come quella di JP e di Porcarelli bisogna dire con nettezza che non ci siamo. Non ci siamo perché sarebbe la sanzione dell'assenza di una politica industriale in questo paese, il fallimento di tutti gli strumenti messi in atto a partire dal tanto declamato "accordo di programma". Non ci siamo perché il crollo industriale comporta e implica anche un crollo sociale di tutto il tessuto di una zona importante per l'Umbria e per le Marche!
Sarebbe un altro terremoto dopo quello del 1997, ma questo molto più nefasto e devastante. Un esempio? La fascia appenninica rischia di nuovo lo spopolamento dopo l'emigrazione degli anni '50. I comuni della fascia perdono sempre più abitanti, i giovani e anche i meno giovani ritornano sulle strade della Francia e del Lussemburgo. Nocera Umbra ha ormai poco più di 5 mila abitanti, ne aveva 9900 nel 1931, quando a Perugia gli abitanti erano poco più di 70 mila (ora sono 166 mila).
E' evidente che la crisi industriale sta facendo affondare un intero territorio. Se ne esce solo con un progetto industriale e un piano del lavoro vero, che valorizzi l'industria, l'ambiente e il territorio e impedisca l'impoverimento di una zona interna ricca di risorse, di energie e di potenzialità.
La fascia appenninica può farcela se si esce dalla convegnistica e si mettono in campo le necessarie strumentazioni ed opportunità!
Mario Bravi
Questo intervento è stato pubblicato dal quotidiano Corriere dell'Umbria, domenica 7 agosto 2016.
L'autore ha autorizzato la sua riproduzione anche su Umbrialeft.
Mercoledì
10/08/16
13:16
Bravi, l'ho già scritto varie volte in risposta alle sue parole sulla vicenda: I SINDACATI DOVE ERANO QUANDO HANNO AVALLATO L'ACCORDO? Non ha mai risposto, perché quello che lei lamenta è la naturale conseguenza di scelte cieche (quando non colpevolmente consapevoli). Ve lo accorgete ora che il piano industriale non stava in piedi?
Sabato
27/08/16
06:16
Bla bla bla..bisogna dire, bisogna fare, nominiamo una commissione di amici che prima di impadronirsi del problema e le capirne le origini discute, discute discute, poi valutiamo, verifichiamo poi.... decideremo....
Un "gruppo dirigente" deve produrre VELOCEMENTE soluzioni fattibili ed efficaci possibilmente lungimiranti, non basta individuare le criticità: DEVE INDICARE LE SOLUZIONI NON I PROBLEMI.
Quali sono le proposte ...per una politica utile a quelle popolazioni? si discuta su quelle!