Alle tragedie disumane non ci si abitua mai, ma ci sono due ragioni opposte per cui questo accade: o perché si sente addosso la bruciante responsabilità di chi non fa niente per salvare vite umane, o perché ci si dimentica di chi ogni giorno si muove sulle rotte migratorie, a meno che la tragedia non avvenga a un passo da casa propria. Ma il ricordo di questi eventi tragici dura sempre meno, e passa sempre più velocemente tra le notizie di ieri.

Se non fosse così, dopo il naufragio del 3 ottobre 2013 a Lampedusa o dopo aver visto l’immagine di Alan Kurdi sulla spiaggia di Bodrum nel 2015 avremmo dovuto cambiare tutto, e non trattare più il fenomeno migratorio come qualcosa che non ci riguardava, come un male da evitare.

Avremmo posto come principio non negoziabile che chi è in pericolo va aiutato. Saremmo diventati tutti consapevoli di cosa accade sulle rotte balcaniche, di cosa accade in Grecia, di cosa accade a Melilla.
Ci troviamo invece a sentire che “la colpa è delle famiglie che li fanno imbarcare”, che sarebbero irresponsabili.

Chi può dire qualcosa del genere senza provare disgusto per sé - specie se occupa una delle cariche più importanti dello Stato - deve vergognarsi prima di tutto come essere umano. Non possiamo non riconoscere, però, che le sue azioni sono la dimostrazione di decenni di indifferenza e di innumerevoli discorsi disumani. La vera mancanza di responsabilità è quella di chi pone la burocrazia, i rimpalli di responsabilità e i temporeggiamenti tra sé e chi sta per annegare.

Chi lascia passare sette ore pur potendo aiutare, è colpevole. E chi salva vite in mare non è un taxi ma un’ambulanza. Un’ambulanza privata, perché quella pubblica ha scelto di non funzionare. E il fatto che non voglia funzionare è disumano, ed è responsabilità non solo di chi ora è al governo, ma di tutti quelli che negli ultimi decenni avrebbero potuto e che - per ideologia, convenienza, disumanità o paura - non hanno voluto.

Fonte: facebook.com/associazionetlon

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