Esempio di grande opera: il viadotto Scorciavacche

Forse è stata davvero una causa imprevista a determinare lo slittamento di oltre mezza carreggiata di oltre mezzo metro; forse si sono realmente allineati, in un determinato istante, tutti gli incastri delle particelle di terreno in modo da creare quel tipo di frattura. Non lo so; c’è probabilmente una spiegazione non prevedibile, oppure dietro quella frattura, oltre al nome non certo bello e un po’ premonitore, c’è una storia comune a tante grandi opere. Vediamola.
Per individuare l’incunabolo di un’opera pubblica, in Italia, è necessario risalire a lungo il corso del tempo. Quello che si vede in costruzione adesso ha spesso subito un travaglio di almeno un lustro. Ma l’incredibile è che, nonostante i tempi dilatati, si fa comunque e sempre tutto in fretta.
La prima vicenda comincia con il sentore di un finanziamento da parte dei nostri governanti nazionali, che arriva magari dalla Comunità Europea. Lo stanziamento, quando viene formalizzato, è già molto preciso nelle intenzioni e nelle finalità, ma è comunque necessario dettagliare gli interventi. E qui debutta la prima bagarre. L’argomento deve essere visto, lassù, come una spartizione del tesoro, perché attira gli interessi più disparati, anche di quelli che con la finalità del fondo non c’entrano nulla. E via a discussioni, dibattiti, approfondimenti, rinvii, riprese, ferie d’agosto, di Natale e Pasqua.
E il tempo passa.
Poi c’è L’Ente destinatario delle risorse; quello che deve “solo” eseguire l’intervento con tanto di gare e garette; a questo, in genere, si dà poco da discutere, in quanto lo si informa cordialmente che l’opera si fa in quel modo e in quella posizione, oppure non se ne fa niente e si sceglie qualcun altro a cui dedicare il finanziamento. Ma anche qui c’è sempre qualcuno che reclama, che la vede diversamente, che asseconda comitati cittadini.
E il tempo passa.
Ci sono le scadenze, e il Piano, che scende all’Attuatore, diventa sempre più una patata bollente, o una bomba a mano. In Italia teniamo l’ordigno in mano più tempo degli altri Paesi. Poi ci prende la fretta e gettiamo la questione velocemente da un passaggio ad un altro. Quando L’Attuatore, che deve gestire la progettazione, l’appalto e la realizzazione dell’opera, riceve finalmente il via definitivo, manca quasi sempre poco alla scadenza del finanziamento. Si comincia con i bandi per la progettazione. Questi, anche se riguardano opere importanti e di impegno economico elevato, contengono scadenze ristrettissime per l’esecuzione del servizio. In alcuni di questi bandi si pone in gara al ribasso lo stesso limitato periodo di svolgimento della progettazione. Si va alla ricerca dell’immaginario, a dimensioni temporali diverse. Il controllo del progetto, la validazione, è praticamente un onere a carico dell’Attuatore quasi sempre a carattere di pura responsabilità; della serie: io progetto, mi paghi, ti fidi, se poi sbaglio qualcosa, tu paghi insieme a me. Il passaggio più difficile è l’approvazione, per cui si convoca preliminarmente la Conferenza Servizi degli Enti di controllo. Una vera e propria incognita. Il momento in cui, per la prima volta, si capisce se l’opera si può fare o no. E se per una ragione tecnica qualsiasi, legata o no al progetto, l’intervento non si potesse fare? Ma ci pensate che casotto? I soldi sarebbero sicuramente persi. Arriva il momento di forzare la norma, di rischiare qualcosa in più, di passarci sopra. Poi c’è la realizzazione, l’ultimo passo prima del collaudo finale. Questa in genere viene compressa come un’auto rottamata. Anche qui si salta sopra un altro argomento rilevante, forse il più importante: la sicurezza. Ma questa è un’altra cosa.
Ma questa è solo una storia. Forse, fra Agrigento e Palermo, è stata davvero una causa imprevista a provocare quel disastro, forse.
Paolo Felici
www.ediliziario.it

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