di Vincenzo Vita

 

Dura lex, sed lex. Almeno, dovrebbe. Sem­pre per usare il latino, il monito dovrebbe valere anche per la «par con­di­cio». Vale a dire il rispetto delle pari oppor­tu­nità tra i diversi sog­getti nelle pre­senze radio­te­le­vi­sive, soprat­tutto in cam­pa­gna elet­to­rale. Ora che si avvi­ci­nano sca­denze deli­cate come il voto euro­peo e quello ammi­ni­stra­tivo, lan­ciare un grido di allarme è dove­roso. «È tutto sba­gliato, è tutto da rifare», diceva il com­pianto Gino Bar­tali. Appunto.

Par­tiamo dalla esa­ge­rata espo­si­zione del pre­si­dente del con­si­glio che, come emerge dall’accurato moni­to­rag­gio svolto dal Cen­tro d’Ascolto dell’Informazione Radio­te­le­vi­siva assomma — nel solo mese di marzo — il 18,1% del tempo in voce nei tele­gior­nali della Rai. Tempo che si dilata, secondo la società di rile­va­zione «Geca Ita­lia», a quasi cin­que ore al giorno nel periodo che va dal 17 al 31 marzo: se si con­si­dera l’intero spet­tro, pub­blico e pri­vato, digi­tale e satel­li­tare. E’ vero che siamo agli atti ini­ziali del nuovo governo, tut­ta­via è bene sug­ge­rire a Mat­teo Renzi di non emu­lare il vec­chio tycoon Ber­lu­sconi. Anzi. L’altra evi­dente ano­ma­lia, se si pren­dono in esame le ricer­che fatte dalla stessa «Geca» nel mese di marzo per l’Autorità per le garan­zie nelle comu­ni­ca­zioni, è il costante soste­gno pri­vi­le­giato offerto dalle reti Media­set al par­tito del pro­prie­ta­rio, con oltre il 36% del tempo di parola. E pure il ser­vi­zio pub­blico non scherza. E mette in luce il Cen­tro d’Ascolto, che oppor­tu­na­mente cal­cola la frui­zione piut­to­sto che il mero minu­tag­gio, il diva­rio cre­scente tra i i due par­titi del pas­sato bipo­la­ri­smo imper­fetto ita­liano e il resto del mondo. 5 Stelle segue con meno del 10%, pre­ci­pita a uno scarso 4% Sini­stra, eco­lo­gia e libertà, impro­pria­mente con­teg­giata come l’intera «Lista Tsi­pras». Fino allo 0,2% dei radi­cali, che pure stanno facendo bat­ta­glie impor­tanti e signi­fi­ca­tive sulle car­ceri, la droga, il fun­zio­na­mento della giustizia.

In verità, emerge un vizio di fondo del e nel rap­porto tra media e poli­tica, che si accom­pa­gna allo sto­rico tema del con­flitto di inte­ressi dell’ex cava­liere, appa­ren­te­mente uscito di scena, ma tut­tora pro­ta­go­ni­sta diretto o indi­retto. Lo schema cui si ispira larga parte dell’informazione poli­tica è anco­rato al sogno bipo­lare, che nella realtà non esi­ste da tempo. Alla crisi della tra­di­zio­nale nomen­cla­tura dei par­titi è seguito un uni­verso assai disar­ti­co­lato, un arci­pe­lago cui dare — comun­que — rap­pre­sen­tanza e rap­pre­sen­ta­zione. La comu­ni­ca­zione radio­te­le­vi­siva insi­ste su di un bene comune, l’etere, che deve essere libero e aperto. Senza discri­mi­na­zioni. È il senso ultimo della legge n.28 del 2000 sulla citata «par con­di­cio», ingiu­sta­mente appe­san­tita dai suoi mille rego­la­menti appli­ca­tivi, ultimo dei quali il testo della deli­bera 138/14/Cons della mede­sima Agcom. Quest’ultima, tra l’altro, appare troppo anco­rata ai vec­chi rap­porti di forza, men­tre le pari oppor­tu­nità riguar­dano allo stesso modo tutti. Il discorso si allarga ai talk show, che hanno let­te­ral­mente invaso l’informazione poli­tica, come ha sot­to­li­neato in uno stu­dio recente Alberto Bal­dazzi, ripren­dendo un’analisi di Fran­ce­sco Siliato. Arena ormai pre­li­bata della nar­ra­zione poli­tica, i talk andreb­bero veri­fi­cati per il loro spe­ci­fico, che sfugge al «minutaggio».

Basti un dato: nella sta­gione 2013 su 833 ospiti, 93 hanno rag­giunto quasi la metà delle pre­senze totali. Si tratta di 48 per­so­na­lità poli­ti­che e di 37 gior­na­li­sti, che accom­pa­gnano la nostra dieta media­tica, dal risve­glio al sonno. La tele­vi­sione come Nir­vana, scri­veva anni fa Hans Magnus Enzensberger.

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