Il disastro economico del governo Monti (Pdl, Pd, Udc e Fli)

di Stefano Vinti
PERUGIA - La crisi è stata scaricata interamente sull’Italia che produce: i lavoratori dipendenti, gli esercenti, gli artigiani, i piccoli imprenditori, attraverso una tassazione inusitata e la salvaguardia dei profitti dovuti alla rendita finanziaria e alla pura speculazione. Tagli inaccettabili allo stato sociale e compressione dei diritti del lavoro hanno salvaguardato i grandi patrimoni e trasferito rilevanti risorse al sistema del credito, spesso corrotto e inefficiente.
Il 2012 si chiude per l’Italia con un bilancio economico disastroso. Come ampiamente prevedibile, le politiche di austerity si sono rilevate un’autentica “macelleria sociale”, il Pil si contrarrà a fine anno di oltre il 2,5%. Ciò significa che per raggiungere i livelli di ricchezza pre-crisi, bisognerà attendere come minimo una decina d’anni a patto che l’economia cresca ad un saggio dell’1,5% annuo (fatto assai improbabile). A fronte di un tasso d’inflazione medio del 3% annuo (con punte del 4,3% per quanto riguarda i beni di prima necessità), le retribuzioni sono mediamente aumentate di solo la metà, con un ulteriore perdita del potere d’acquisto dei redditi da lavoro. Il tasso di disoccupazione “ufficiale” ha superato l’11%; quello reale supera il 20% e va aumentando. Il numero dei precari è arrivato ad oltre 3,5 milioni. Nel frattempo, è stata varata la riforma Fornero del mercato del lavoro, che allenta le garanzie dell’art. 18 e istituzionalizza la precarietà come rapporto tipico di lavoro grazie alla liberalizzazione dei contratti a termine. A partire dal 1 gennaio diventa poi operativo l’allungamento dell’età pensionabile, con effetti deleteri sul turn-over generazionale in un contesto che vede il tasso di disoccupazione giovanile superare il 37% con punte del 50% nel Mezzogiorno. Persino gli arrivi dei migranti si sono ridotti per le minor opportunità di lavoro, anche se in nero e con paghe da fame.
Non può stupire che il consumo si sia ridotto ai minimi termini con un calo di quasi il 3% (peggior dato dal dopoguerra) e la propensione al risparmio si è ulteriormente ridotta con effetti negativi sul livello della domanda interna. Cinque leggi finanziarie negli ultimi 16 mesi – per una manovra complessiva di 100 miliardi di euro nel nome della “necessaria austerity”– hanno prodotto un calo della domanda interna senza precedenti. Il potere d’acquisto delle famiglie è calato del 5,2%. L’export si è ridotto di quasi il 7%. Nonostante l’introduzione di nuove tasse (Imu e aumento Iva), le entrate fiscali, pur in aumento, non sono state in grado di compensare la caduta del Pil e l’aumento della spesa per interessi. Il rapporto debito/Pil ha superato la soglia del 125%. Inoltre tale incremento della pressione fiscale ha avuto effetti regressivi, colpendo ulteriormente le fasce della popolazione con reddito minore e maggiore propensione al consumo. Nonostante che nell’ultimo mese, come effetto della discesa in campo di Monti, dell’accordo del Congresso Usa sul “Fiscal Cliff” e dell’aumento dei tassi tedeschi, lo spread sia ritornato sotto i 300 punti e le borse abbiano ripreso un minimo di fiato, i tassi d’interesse rimangono eccessivamente elevati. Il fatto che i tassi d’interesse sui debiti e sui crediti (finanziamenti al consumo, alle imprese, mutui, titoli) siano circa tra 8 e 10 volte superiori, ci dice che la BCE non è più in grado di controllare gli stessi tassi d’interesse, evidenziando in tal modo la sua totale subordinazione alle logiche dominanti nei mercati finanziari.
Con il 2012 siamo arrivati al 5° anno di crisi. E il 2013 si prospetta molto simile. Neanche la grande crisi del 1929-30 era durata così a lungo. A partire dal 1933 (dopo 4 anni) l’economia Usa aveva cominciato a risalire la china in seguito ai nuovi provvedimenti di sostegno alla domanda, messi a punto dalla nuova amministrazione Roosevelt, una volta approvato il “New Deal” e ripristinato il diritto di contrattazione collettiva teso ad aumentare i salari.
Una politica economica sostanzialmente confermata dalla Carta d’Intenti sottoscritta dal Pd e da Sel, ovviamente dalla coalizione guidata da Monti e, salvo alcune trovate elettorali, anche da Berlusconi.
Pertanto ci avviamo verso uno stato di crisi permanente sigillato dal Fiscal Compact. L’idea di società di Bersani, Monti e Berlusconi è sostanzialmente uguale nei suoi assi fondamentali, si contrastano per raggiungere il “posto di comando” di una rotta scritta dal liberismo e dalla speculazione finanziaria. L’unica lista a sinistra, che si batte per una politica alternativa a quella dell’austerità è Rivoluzione Civile – Ingroia.
Con tutti i limiti, Rivoluzione Civile, può lasciare aperta la strada alla costruzione di una alternativa politica e sociale per l’Italia e per l’Europa.

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