di Leonardo Caponi

 

PERUGIA - Per la prima volta dal secondo dopoguerra la sinistra comunista e quella cosiddetta radicale non saranno rappresentate al Consiglio comunale di Perugia. E’ ancora una notizia, almeno da queste parti perché, a Perugia e in Umbria, anche dopo lo scioglimento del Pci, Rifondazione e il Pdci che contenevano anche la gran parte di Sel, hanno sempre potuto contare su percentuali elettorali significative e su un ruolo da protagonisti nella vita politica e alla guida delle pubbliche istituzioni. L’esclusione non è isolata e casuale, ma si iscrive nella crisi generale delle forze a sinistra del Pd (solo parzialmente mitigata dal risultato della lista Tsipras), che, se non invertono la tendenza, stanno rischiando l’uscita definitiva di scena.

A Perugia sono rimaste travolte dalla sconfitta del Pd e dai bizantinismi di una legge elettorale che relega a minoranza la coalizione e i partiti che hanno preso più voti. Ma anche loro hanno da recitare dei bei mea culpa. Il principale è forse quello di essersi sostanzialmente consegnati mani e piedi proprio al Pd, rinunciando ad ogni condizione programmatica, nella speranza, rivelatasi vana, di aggirare le strettoie della legge elettorale. Si verifica così il paradosso che l’alternativa civica progressista a Perugia sceglie, come campo di sperimentazione (discutibile quanto si vuole), l’alleanza col redivivo centro destra, in mancanza di una sponda di segno opposto. Ma la vita della sinistra, oggi, è costellata di paradossi. Il più eclatante è che essa vive il culmine della sua crisi politica e di consenso, nello stesso momento in cui, con la disoccupazione e il malcontento popolare, le condizioni potenziali del suo sviluppo parrebbero massime.

E, invece, è l’antipolitica, nelle sue varie forme, a monopolizzare la protesta. Quanto sembrano lontani i tempi in cui la iperbolica oratoria di Fausto Bertinotti ammaliava grandi masse di persone marcianti al canto del classico “Avanti popolo, alla riscossa…”! Eppure, a guardarci bene, sono dietro l’angolo. Che è successo? La spiegazione che è la sinistra in sé ad essere finita, è troppo sbrigativa e non corrispondente al vero. Anche nella vecchia Europa la sinistra esiste ancora e in molti Paesi si sono manifestate significative aree di consenso per partiti comunisti o coalizioni di sinistra radicale che possono ambire ad occupare posizioni di governo o dire la loro nella situazione politica. In questo panorama è l’Italia ad essere in controtendenza.

Il problema è forse quello che mentre in altre nazioni hanno marciato processi aggregativi tra forze diverse, qui da noi non è mai finita la fase dei conflitti e della divisione. Per tornare al nostro piccolo, è facile notare come se Sel avesse partecipato a una lista comune a Perugia, oggi questa lista sarebbe rappresentata al Consiglio comunale. Incombono, ormai, le elezioni regionali. La riduzione del numero dei consiglieri, una legge elettorale probabilmente restrittiva, un atteggiamento ambiguo del Pd sulle alleanze inducono cattivi presagi. Non dovrebbero esserci dubbi a lavorare per una Sinistra umbra unita. Sarà così?

O forse, meglio ancora, per riaccostare la gente alla politica e ridare speranza alle molte delusioni di una fascia di elettorato, sarebbe il caso di smetterla di ragionare in termini di rapporti tra stati maggiori ed equilibri tra organizzazioni. Bisognerebbe avere il coraggio di rovesciare il tavolo, ricominciare, come si dice, dalla gente e dai problemi. Consegnare alla storia le sigle di soggetti e partiti, gloriosi ma diventati ormai troppo piccoli e palesemente non in grado di avere un futuro e ritrovare tutti coloro che hanno un comune o analogo pensiero in un unico contenitore, aperto e inclusivo, da rimodellare insieme. Come potrebbe chiamarsi? La Costituente per una nuova sinistra.

da Il Corriere dell'Umbria 

 

Condividi