Al voto! Ma come?

di Mauro Volpi
PERUGIA - Le ombre del ritorno alle urne tra breve o entro un anno si allungano sulla legislatura appena iniziata. Tutti concordano sulla necessità di cambiare un sistema elettorale, ormai misconosciuto anche da quelli che nel 2005 l’avevano approvato. Bene. Ma bisognerebbe abbandonare l’illusione degli ultimi venti anni che un nuovo sistema elettorale possa essere la panacea di tutti i mali che affliggono il Paese. E anche fare un bilancio dei due sistemi prevalentemente maggioritari adottati dopo il 1993. E allora Mattarellum e Porcellum hanno realizzato le finalità che avevano promesso? L’unica conseguita prima delle ultime elezioni è l’assetto bipolare del sistema politico. Ma si è dato vita ad un bipolarismo all’italiana eterogeneo, coattivo e muscolare, nel quale ci si allea per vincere contro il “nemico” e poi si è incapaci di governare. Un bipolarismo del quale le recenti elezioni hanno certificato il decesso. Si è avuta almeno una riduzione significativa del numero dei partiti? No, perché i piccoli partiti con il Mattarellum hanno imposto propri esponenti come candidati di coalizione nei collegi uninominali e con il Porcellum si sono coalizzati con i più grandi riuscendo così a superare soglie di sbarramento risibili (il 2% o anche meno). È stata garantita la stabilità di governo? Ebbene, in 20 anni abbiamo avuto 11 governi e la favola del Presidente del Consiglio eletto direttamente dal popolo, oltre ad essere in contrasto con quanto previsto dalla Costituzione, è stata clamorosamente smentita dalla prassi con la frequente formazione nel corso della legislatura di nuovi governi presieduti da un diverso Presidente del Consiglio. Fino alla formazione di governi tecnici (Dini e Monti) che per la loro composizione non erano certo scaturiti dalle elezioni. Infine, quanto alla scelta diretta dei rappresentanti da parte degli elettori, con il Mattarellum i candidati nei collegi uninominali sono stati indicati dai vertici dei partiti coalizzati e con il Porcellum agli elettori è stata sottratta qualsiasi libertà di scelta grazie alle liste bloccate e ampie, che consentono ai vertici di partito di nominare gli eletti.
E allora, visto il fallimento dei sistemi prevalentemente maggioritari, cosa fare oggi di fronte allo sfascio del sistema politico che determina lo stallo di quello istituzionale? Intanto sarebbe indispensabile una circoscritta revisione costituzionale che superi il bicameralismo paritario, trasformando il Senato in Camera delle Regioni e differenziandone i poteri rispetto alla Camera, la quale soltanto voterebbe la fiducia al Governo. E che magari riduca il numero dei parlamentari. Quanto al sistema elettorale, è sufficiente abrogare il Porcellum per tornare al Mattarellum? No, perché questo produrrebbe con ogni probabilità coalizioni eterogenee, un alto numero di partiti e nessuna maggioranza.
Forse è arrivato il momento di abbandonare la velleità di dare vita ad un sistema tutto “italiano”, prescindendo totalmente dalle più significative esperienze europee. Ma a quali bisognerebbe guardare? Non certo al maggioritario all’inglese, nel quale in ogni collegio uninominale è eletto il candidato che prende un voto in più. Con tre forze politiche che hanno un numero di voti pressoché equivalente, sarebbe quasi sicuro lo stallo, come è avvenuto nel Regno Unito nelle elezioni del 2010, che hanno reso necessario un governo di coalizione tra conservatori e liberal-democratici. Non restano che il maggioritario alla francese o il proporzionale alla tedesca. Con il primo in ogni collegio è eletto il candidato che ottiene la maggioranza assoluta dei voti e nei collegi in cui ciò non si verifica si tiene un secondo turno, al quale accedono solo i candidati con un alto numero di voti. È un sistema che favorisce il bipolarismo ed emargina le forze estreme che non concludono alleanze, almeno tra il primo e il secondo turno. Ma a condizione che vi siano due partiti nettamente più forti capaci di aggregare intorno a sé forze minori, requisito inesistente nell’Italia tripolare scaturita dalle elezioni. Il sistema tedesco attribuisce metà dei seggi in collegi uninominali con maggioritario all’inglese, l’altra metà in collegi plurinominali a liste concorrenti, ma sottraendo ai seggi spettanti a ogni lista quelli già ottenuti nei collegi uninominali. Tuttavia per avere eletti con il proporzionale una lista deve superare il 5% dei voti su scala nazionale. E infine l’elettore ha un doppio voto, che gli permette di scegliere un candidato nel collegio uninominale e di votare una lista diversa, dando in questo modo anche una indicazione di alleanza postelettorale. Si potrebbe anche correggerlo con un premio di maggioranza ridotto e legato comunque all’ottenimento di un’alta percentuale di voti. In sostanza il sistema tedesco sarebbe più adatto alla (ri)costruzione di partiti stabili e presenti nella società e di una politica al servizio della comunità. Si può pensare che ciò sia impossibile, ma allora non resterebbe che lasciare campo libero alle avventure demagogiche e populistiche.

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