di Ida Dominijanni

Nel giorno della grande parata che celebra la vittoria dell'Urss nella seconda guerra mondiale, spettacolare per dimensioni e simbolismi (irresistibile, più della sfilata militare, il fiume di popolo con le bandiere della Russia e dell'Urss e le foto dei caduti, in testa lo stesso presidente con quella del padre), Putin ha mancato tutte le aspettative, le più ottimiste e le più pessimiste, sul seguito della guerra contro l'Ucraina. Non ha cantato vittoria, non ha dichiarato conclusa l''operazione speciale', non ha varcato la soglia temuta di una formale dichiarazione di guerra a Kiev con relativa mobilitazione totale delle forze armate. Sul piano militare, se ne può dedurre che la guerra continuerà tale e quale, a meno di novità negoziali per ora fuori dall'orizzonte. Ma non ci si può limitare al solo piano militare. Nel suo breve discorso, che ricalca e completa quello del 23 febbraio, Putin ha fatto quattro mosse, dense di conseguenze politiche e strategiche. Sul piano storico ha rivendicato orgogliosamente il ruolo determinante dell'armata rossa nella vittoria sul nazismo, lanciando altresì una pesante stoccata a quanti in Occidente se ne dimenticano; ma ha indebitamente inserito la guerra in corso nel solco della guerra patriottica, come se fra la lotta difensiva contro il nazismo e la "denazificazione" aggressiva dell'Ucraina non ci fosse soluzione di continuità. Sul piano identitario è tornato a riportare la Russia di oggi al passato imperiale, questa volta senza poter prendere, data la circostanza, le distanze dall'Urss come aveva fatto il 23 febbraio, e tuttavia rimarcandole implicitamente con il riferimento ai valori tradizionali - Dio patria e famiglia - che sostituiscono e ribaltano l'impianto valoriale social-comunista dell'esperimento sovietico (sostituzione che destituisce di fondamento, sia detto non tanto per inciso, qualunque indulgenza nei confronti di Putin basata sulla nostalgia per l'Urss). Sul piano politico ha tracciato con inedita chiarezza e durezza la linea del Nemico, individuandolo in un Occidente equivalente agli Stati uniti malati di degrado morale, eccezionalismo e russofobia: risposta per le rime agli epiteti che si è sentito rivolgere da Biden, ma anche posizionamento programmaticamente e frontalmente conflittuale per il dopo-guerra ucraina (e c'è da chiedersi se il posizionamento sarebbe stato lo stesso con gli Usa neo-tradizionalisti di Trump). Sul piano strategico, infine, e sulla scia del 23 febbraio, è tornato a giustificare l'invasione dell'Ucraina come guerra preventiva di fronte alla minaccia eventuale proveniente dall'incombenza della Nato ai confini della Russia e dal sostegno armato dell'Ucraina da parte degli Stati uniti (nonché dalla possibilità di una loro mobilitazione in funzione antirussa di formazioni terroriste) : pessima giustificazione, che tuttavia - va ricordato - per ironia della storia si inscrive nella dissennata teoria della "preemptive war" inventata vent'anni fa precisamente dai neoconservatori americani. Tirate le somme, a me pare un discorso che sposta poco o niente sulla guerra in corso, di cui Putin ha perfino riconosciuto i costi in termini di vite umane; ma tiene il punto, e gioca anzi al rialzo pur escludendo l'escalation nucleare, nella prefigurazione dello scacchiere della conflittualità globale di lungo periodo.
Sul quale scacchiere tuttavia qualcosa si muove. Non Zelensky, che sullo sfondo di una Kiev grigia e deserta, scenografia volutamente opposta a quella trionfale della Piazza rossa, ha ribaltato la narrativa antinazista di Putin tornando a identificare in lui il nuovo Hitler destinato a una storica sconfitta. Bensì Macron, che con una mossa del cavallo di smarcamento dalla posizione angloamericana dice a chiare lettere che l'Unione europea sta e starà al fianco dell'Ucraina senza per questo fare la guerra alla Russia, e che una soluzione di pace va ricercata senza revanchismi e senza umiliazione dell'aggressore. Un discorso che apre uno spiraglio di speranza per le sorti dell'Unione europea e trova riscontro nell'"appoggio all'autonomia strategica della Ue" che arriva in contemporanea da Pechino. Dopo 75 giorni di una guerra assurda e crudele forse qualcosa finalmente si muove.

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