di Gianni Ferrara

La "coa­li­zione sociale" che ci pro­pone Lan­dini, a nome della Fiom, è l’occasione sto­rica che ci manca per far rina­scere la sini­stra in Ita­lia. Coglierla è un biso­gno ed un dovere. Giunge nel momento in cui l’erede infe­dele del Pci esi­bi­sce la muta­zione gene­tica che ha subìto tra­sfor­man­dosi nell’opposto esatto del suo dante causa. E ubbi­di­sce al suo lea­der che, rot­ta­mando i valori della Resi­stenza, in luogo della demo­cra­zia costi­tu­zio­nale che i comu­ni­sti ita­liani con­tri­bui­rono for­te­mente e inci­si­va­mente a costruire, sta impo­nendo a ritmi incal­zanti un regime autoritario.

È lo stesso lea­der che demo­li­sce lo stato sociale, che com­prime, distorce, disco­no­sce uno ad uno i diritti dei lavo­ra­tori, di quella classe la cui rap­pre­sen­tanza costi­tuiva la ragion d’essere del Pci. Con l’uomo solo al comando, che le cosid­dette riforme isti­tu­zio­nali, quella costi­tu­zio­nale e quella elet­to­rale, da sole ed insieme, mirano a rea­liz­zare, tutte le isti­tu­zioni della Repub­blica degra­de­ranno a stru­menti del capo del governo, diven­tando tutte ese­cu­tive del volere dell’esecutivo che, a sua volta, si porrà come ese­cu­tivo della ideo­lo­gia domi­nante, quella del capi­ta­li­smo neo­li­be­ri­sta, tra­dotta nelle norme dei Trat­tati inter­na­zio­nali, tra i quali Trat­tati pri­meg­gia quello sull’Unione euro­pea. Pri­meg­gia nel porre a fon­da­mento dell’Unione, per la dina­mica dell’ordinamento e come suo obiet­tivo, l’economia di mer­cato aperta e in libera con­cor­renza. Quella spe­ci­fica eco­no­mia di mer­cato che sta distrug­gendo prin­cipi e diritti, quello di egua­glianza, innan­zi­tutto, quelli sociali soprattutto.

Il cosi detto Jobs Act si pone, al ter­mine della discesa degra­dante degli ese­cu­tivi, come esem­plare stru­mento di que­sta distru­zione di civiltà sociale e poli­tica. Incre­menta il potere dato­riale al mas­simo pos­si­bile, con la pre­ca­riz­za­zione sostan­ziale del rap­porto di lavoro, masche­rata da "con­tratto a tutele cre­scenti" e…irraggiungibili. La subor­di­na­zione umana nel rap­porto di lavoro sala­riale rag­giunge così il suo apice. L’articolo 3 della Costi­tu­zione impone alla Repub­blica il "com­pito di rimuo­vere gli osta­coli di ordine eco­no­mico e sociale che, limi­tando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cit­ta­dini, impe­di­scono il pieno svi­luppo della per­sona umana e l’effettiva par­te­ci­pa­zione di tutti i lavo­ra­tori all’organizzazione poli­tica eco­no­mica e sociale del Paese". Non dovrebbe sfor­zarsi chi ne volesse for­mu­lare la nega­zione asso­luta. Col Jobs Act vi ha già prov­ve­duto Renzi.

È con­tro que­sto attacco mor­tale alle isti­tu­zioni della demo­cra­zia, all’eguaglianza e alla dignità dei lavo­ra­tori, alla civiltà dei rap­porti umani che ci si deve mobi­li­tare. La "coa­li­zione sociale" potrebbe diven­tarne lo stru­mento aggre­gante, per­ché ope­re­rebbe alla base del sistema com­ples­sivo, par­ti­rebbe dal vis­suto delle donne e degli uomini schiac­ciato dalla crisi attuale del capi­ta­li­smo neo­li­be­ri­sta. Col­me­rebbe un vuoto agghiac­ciante, rispon­de­rebbe ad una esi­genza impel­lente, enorme per numero di chi la sente, pro­fonda per i biso­gni che la sol­le­ci­tano e che dal con­tin­gente si pro­iet­tano nel futuro umano.

Il come è deci­sivo. Dire che il campo della "coa­li­zione" da inven­tare è quello della base dell’ordinamento, è come dire che sì, essa deve costruire innan­zi­tutto soli­da­rietà attive, unità delle dif­fe­renze a comin­ciare da quelle tra occu­pati e pre­cari e tra tutti gli oppressi dal neo­li­be­ri­smo e dalla com­pres­sione della rap­pre­sen­tanza nelle fab­bri­che, nei comuni, in tutte le arti­co­la­zioni della società. Deve dise­gnare il senso dei destini di cia­scuno e di tutti. Deve ope­rare per aggre­gare ed insieme per usare tutti gli stru­menti della demo­cra­zia di base e di inven­tarne di nuovi. Ce lo inse­gna la sto­ria. Furono le società ope­raie di mutuo soc­corso le prime isti­tu­zioni del movi­mento ope­raio, e le leghe le ante­si­gnane dei sin­da­cati. Si col­le­ga­rono ed evol­sero con non pochi sforzi, in non pochi anni.

Noi par­ti­remmo da una situa­zione di gran lunga migliore. È quella che pog­gia su un movi­mento di massa già strut­tu­rato, orga­niz­zato, forte dell’esperienza delle lotte glo­riose con­dotte dalla Fiom. Che, per di più, è parte auto­noma, anche cri­tica, avan­zata ma inte­grante della Cgil, la grande mae­stra della lotta del lavoro, l’unica isti­tu­zione della sini­stra e del movi­mento ope­raio che in 110 dalla sua fon­da­zione non ha subito scis­sioni, ed è per­ciò modello di plu­ra­li­smo quanto ai mezzi e di coe­sione quanto ai fini. La "coa­li­zione sociale", par­tendo dalla Fiom, non può non incon­trare la Cgil. Non può nean­che non incon­trare, avere, com­pren­dere la"coa­li­zione poli­tica". Il pro­gramma pro­po­sto da Airaudo e Mar­con, su que­sto gior­nale il 24 feb­braio scorso, è ampia­mente con­di­vi­si­bile e, credo che, in que­sta fase, può benis­simo unire l’una e l’altra coa­li­zione nell’esercizio dei rispet­tivi compiti.

Credo anche, ed auspico che il ruolo spe­ci­fico della "coa­li­zione sociale" sia quello alto, arduo e impe­rioso, di rico­struire la classe, la "classe per sé". È la pre­messa fon­da­men­tale. Da rico­struire dove si deve, nelle lotte, agendo in esse e riflet­tendo su di esse, e, con la classe, la coscienza di classe del XXI secolo, qui in Ita­lia, dove siamo e possiamo.

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