di Andrea Baranes

Il seme­stre ita­liano di pre­si­denza del Con­si­glio euro­peo si era aperto con un docu­mento infar­cito di richiami alla com­pe­ti­ti­vità. I pro­blemi delle finanze pub­bli­che come base della crisi attuale, il pri­vato come unica solu­zione. La ricetta, seguendo la visione mer­can­ti­li­sta, è quindi tagliare la spesa pub­blica e lan­ciarsi in una gara senza regole a chi esporta di più. Un qua­dro con­cet­tuale che ribalta cause e con­se­guenze della crisi, dove la rego­la­men­ta­zione della finanza pri­vata sem­bra pas­sata di moda.

Se in Europa si con­ti­nua a sot­to­li­neare come sia fon­da­men­tale un sistema finan­zia­rio che sostenga il rilan­cio di cre­scita e occu­pa­zione, le solu­zioni pas­sano in gran parte dall’inondare le ban­che di liqui­dità. Ban­che che però con­ti­nuano a non pre­stare all’economia, in una forma moderna della trap­pola della liqui­dità postu­lata da Key­nes nel secolo scorso: in un periodo di dif­fi­coltà, l’immissione di denaro si tra­duce in risparmi e non in inve­sti­menti e con­sumi. Oggi cre­scono le atti­vità spe­cu­la­tive, men­tre fami­glie e imprese sono stran­go­late dalla man­canza di accesso al cre­dito. Un feno­meno che esa­spera la cre­scita iper­tro­fica della finanza e il suo sem­pre più spinto distacco dai fon­da­men­tali di un’economia in crisi: la defi­ni­zione stessa di una nuova bolla finanziaria.

Per que­sto occorre ripor­tare la finanza a essere uno stru­mento al ser­vi­zio delle atti­vità eco­no­mi­che, con­tra­stando quelle spe­cu­la­tive. Da un lato alcune delle pro­po­ste avan­zate da anni dalle reti della società civile sono final­mente appro­date nell’agenda euro­pea: una tassa sulle tran­sa­zioni finan­zia­rie, la sepa­ra­zione tra ban­che com­mer­ciali e di inve­sti­mento, una severa rego­la­men­ta­zione del sistema ban­ca­rio ombra, e altre ancora. Dall’altro i passi in avanti sono dav­vero minimi.

Sulla tassa sulle tran­sa­zioni finan­zia­rie, l’ultimo Eco­fin a guida ita­liana si è chiuso con un sostan­ziale nulla di fatto, riman­dando la par­tita alla pre­si­denza let­tone di ini­zio 2015. Pec­cato che la Let­to­nia, a dif­fe­renza dell’Italia, non è tra i Paesi che hanno dichia­rato di impe­gnarsi per la tassa. Se nulla o quasi è stato fatto in que­sti mesi, le spe­ranze di vedere un’accelerazione nel pros­simo futuro sono deci­sa­mente poche.

La sepa­ra­zione tra ban­che com­mer­ciali e di inve­sti­mento e la que­stione delle ban­che too big to fail è un altro punto cen­trale per evi­tare il ripe­tersi di disa­stri come quelli degli ultimi anni e per rein­di­riz­zare l’attività ban­ca­ria verso un soste­gno all’economia. La nuova Com­mis­sione Ue, nella per­sona del Com­mis­sa­rio Hill, un ex lob­bi­sta ora respon­sa­bile degli affari finan­ziari, sem­bra pro­vare ad affos­sare la Bank Struc­ture Reform che dovrebbe occu­parsi di tali que­stioni. A ini­zio dicem­bre il Comi­tato Eco­no­mico del Par­la­mento ha pub­bli­cato un comu­ni­cato molto duro, soste­nendo che non è mai stato detto alla Com­mis­sione di riti­rare la pro­po­sta. Anche in que­sto caso – come in diversi altri capi­toli nego­ziali – non sem­bra che dal Con­si­glio a guida ita­liana siano arri­vati risul­tati o prese di posi­zione memorabili.

L’attuale impo­sta­zione in ambito finan­zia­rio è evi­den­ziata dai recenti stress test con­dotti dalla Bce, che hanno mostrato una mag­giore fra­gi­lità delle ban­che ita­liane rispetto a quelle dell’Europa cen­trale. Pec­cato che tali test andas­sero a guar­dare nel det­ta­glio i pre­stiti ero­gati, ma non il rischio delle ope­ra­zioni spe­cu­la­tive. Le ban­che ita­liane, col­pe­voli di pre­stare di più all’economia reale, sono quindi ine­vi­ta­bil­mente risul­tate in dif­fi­coltà rispetto a quelle di mag­giori dimen­sioni di Ger­ma­nia, Fran­cia o Inghil­terra, spesso con i bilanci pieni di deri­vati e titoli poten­zial­mente tossici.

Pochi esempi per mostrare come l’intera agenda euro­pea appare cucita su misura per i gruppi di mag­giore dimen­sione e che con­ti­nuano a domi­nare – non solo dal punto di vista finan­zia­rio – in Europa. Di fatto, l’unico punto su cui sem­bra che il governo ita­liano si sia speso durante la pro­pria pre­si­denza di turno è nel cer­care di acce­le­rare l’accordo di libero scam­bio tra Ue e Usa, il Ttip. Un nego­ziato sog­getto a for­tis­sime con­te­sta­zioni, cen­trato sulla tutela dei diritti delle grandi imprese a sca­pito di quelli di cit­ta­dini, ambiente e lavoratori.

Sareb­bero molte altre le cri­ti­che che si potreb­bero muo­vere nel merito. L’Italia avrebbe avuto tutto da gua­da­gnare nell’impostare la pro­pria pre­si­denza sulla rego­la­men­ta­zione finan­zia­ria e su un cam­bio di para­digma in Europa. Prima ancora che nell’analisi dei sin­goli capi­toli nego­ziali, è però pro­prio la visione di insieme e l’intero approc­cio a essere total­mente ina­de­guati. Dif­fi­cile dire se al ter­mine del seme­stre ita­liano il bic­chiere sia mezzo pieno o mezzo vuoto, quando non si rie­sce a vedere nem­meno il bicchiere.

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